E' un po' di tempo che non posto un mio racconto, oggi voglio condividere con voi questa nuova storia che spero vi piaccia.
“Ciao, cosa
stai leggendo?”
Quasi trasalii, e il primo pensiero fu: “Ecco una
scocciatrice”.
Mi girai distinto verso la voce: una bambina alla mia destra,
capelli rossi ricci, stava sorridendo indicando il libro che tenevo in mano.
Ero in aeroporto in attesa della coincidenza per Francoforte,
l’aereo aveva quasi un’ora di ritardo per perturbazioni meteo. Di cattivo umore
per l’imprevisto, mi ero comprata un libro per distrarmi e stavo leggendo, seduta
sul sedile di una panca davanti al display dove sarebbe dovuto comparire il
numero del mio gate.
La storia era piacevole e alzai gli occhi dalla pagina controvoglia,
ma lo sguardo dolce della piccola: sette, otto anni avrei detto, me ne fece
pentire subito.
Era seduta sul sedile accanto al mio, sola.
La piccola appariva tranquilla, con sguardo curioso scrutava
la mia reazione, aspettando la risposta.
Dovevo rilassarmi e m’imposi di essere socievole, in fin dei
conti il libro poteva aspettare, avrei potuto sempre riprenderlo più tardi, la
bambina invece era lì in quel momento e dopo di certo non l’avrei più vista.
Quel suo sguardo, e l’odore piacevole misto a talco della pelle mi fecero
sentire da subito ben disposta nei suoi confronti.
“Perché lo vuoi sapere? È una storia, una
storia come tante.” - Le risposi, sorridendo.
“Mi
piacciono le storie. Io non so leggere bene, perché ho solo sei anni, ma quando
sarò grande farò la scrittrice.”
La guardai meglio, ero sorpresa, il suo aspetto, la sua
intraprendenza, la voce sicura, mi avevano fuorviato facendomi pensare ad una
bambina più grande.
“Quando la
mamma me ne racconta una, io mi sento meno sola e non sono triste.” - Aggiunse
seria.
“Anche la mia mamma spesso è triste e
quando ha gli occhi lucidi, io l’abbraccio e le chiedo di raccontarmi una
storia, così lei mi sta vicina e torniamo felici.”
“Le storie della mamma mi portano
lontano… ed immagino un sacco di cose.
Ci sono le fate e i bambini che vivono tante avventure e poi… ci sono
gli eroi che sconfiggono i draghi cattivi.”
“Hai paura
dei draghi?”
“Sì, sempre.
A volte anche fuori dalle fiabe, quando vedo la mamma piangere e non vuole
dirmi cosa c'è che la spaventa.”
“Oppure la sera quando vado a dormire.”
“Ho paura
che ce ne sia qualcuno nascosto nella camera e guardo sempre sotto il letto e
nell'armadio, ma la mamma non lo deve sapere.”
“Mi piacciono le storie con “Tutti
vissero felici e contenti” - E fece un risolino trattenuto portandosi la
mano verso la bocca e alzando un po’ le spalle.
“Non dirlo a nessuno - mi sussurrò
abbassando la voce in un bisbiglio - non so se le fiabe che racconta la mamma
sono davvero esistite. Cioè voglio dire, beh hai capito, se sono vere. Una
bambina mi ha detto che non ci crede, che sono tutte storielle inventate per
farmi felice.”
“E tu?” - le domandai.
“Io penso che ci siano storie vere e
altre meno vere, mi piace ascoltarle… e non mi importa sapere come siano, basta
che mi raccontino cose belle…
“E
sai cos’altro penso? - proseguì dopo un attimo - Penso che sia bello anche
scriverle.”
Poi rivolgendosi a me: “Tu invece?”
Era proprio uno splendore di bambina, la guardavo e
l'ascoltavo estasiata. Corporatura snella, un volto dalla carnagione chiara con
lentiggini sul nasetto e occhi verdi chiari, incorniciato da corti capelli ricci.
Indossava un abitino pervinca, in fantasia, leggero senza maniche.
Era sveglia la piccola e aveva le idee chiare. Forse la sua
era solo una posa o forse credeva veramente in quello che mi stava raccontando,
ma per me non era importante, l'ascoltavo con piacere.
“Credo che, in un certo senso, tu abbia
ragione... - le risposi - uno scrittore, mentre scrive una storia, vive una
realtà diversa dalla sua. È libero di raccontarla come vuole… Ambientarla in un
luogo immaginario e darle un suo finale.”
“Può sognare e raccontare anche di altri
mondi, e per tutte queste cose, certamente, può essere bello. Sai non è mai
solo una storia fine a sé stessa quella che racconta lo scrittore.”
“… Però credo che la cosa sia un po’ più
complicata di come te la sto spiegando. Io non ho mai scritto una storia e
posso solo immaginare sia così.”
La bambina mi ascoltava assorta e quando ebbi finito di
parlare tra noi calò il silenzio.
Fui presa dal timore di essere stata fraintesa… forse troppe
cose tutte assieme?... La piccola aveva capito quello che volevo dire?
Che ne sapevo io di come si parla ai bambini?
Ero figlia unica, le mie amiche avevano altro per la testa
che pensare ad avere figli, e in quanto a me, a malapena sapevo tenermi un
compagno.
Entrambe credo ci perdemmo nei nostri pensieri. Fu la piccola a riprendere a parlare.
“Sto andando
dalla nonna che vive in Francia e sono contenta perché ha una casa grande con
un giardino e un cane peloso, peloso, e io ci gioco tanto. Si chiama Lady, è
tutto bianco con una macchia marrone su un occhio. “
“Anche la nonna mi racconta storie, sai?
Le sue sono meno belle di quelle della mamma, ma mi fanno stare bene. E poi
facciamo tante altre cose insieme.”
“Andiamo al parco acquatico a vedere i
pesci marini e poi mi porta allo zoo, al mare e… in tanti altri posti”
“Sai che ho visto da vicino un
rinoceronte e non ho avuto paura?” - Lo disse compiaciuta e gli occhi le si
illuminarono.
“Ma dai, davvero?
- Mi mostrai sorpresa - Sei proprio una
bambina coraggiosa.”
“Anna che
stai facendo di nuovo? Stai importunando la signora. “
“Chiedi scusa!”
Una giovane donna, forse aveva qualche anno più di me, sta
sopraggiungendo con una bottiglietta d'acqua in mano e due panini. Mi sentii
colta alla sprovvista e a disagio.
La piccola a quelle parole arrossì, chinò il viso e con voce
flebile mi chiese scusa.
“Fa sempre
così quando incontra qualcuno, mi spiace che l'abbia importunata”
“Ma non mi
ha disturbato affatto, anzi, è un piacere parlare con una bambina come la sua.”
“Davvero?
Sa, non tutti gradiscono… Le ha già chiesto di scriverle una frase per ricordo?
Lo fa con tutti.”
Non capii a cosa si riferisse, ma avrei approfondito
volentieri.
La nostra conversazione aveva preso una strada così invitante
che quasi mi dispiaceva avesse raggiunto il capolinea, perché di sicuro, con la
presenza della madre, la piccola non avrebbe più detto una parola.
La donna sedette accanto alla figlia, ma poi sembrò
ripensarci e s’alzò dicendomi:
“Se è così,
posso approfittare ancora di lei? Dovrei fare un salto alla toilette.”
“Ma certo,
la tranquillizzai, si prenda il tempo di cui ha bisogno. Anna con me starà
benissimo.”
Appena la madre girò l'angolo del corridoio, vidi Anna
distendere le gambe, rilassare il corpo e alzare il visetto illuminato da un
sorriso. Pensai di approfittarne:
“Credo che
presto dovremo salutarci. Ma prima, vuoi spiegarmi di cosa parlava la tua
mamma?”
“Ma niente -
mi disse, muovendo il capo con noncuranza - mi piace chiedere alle persone che
incontro di scrivermi una frase, un pensiero e il loro nome”.
“Poi quando
torno a casa cerco di rileggere quello che mi hanno scritto e provo a scrivere
anch’io.”
“Appena sarò più brava ci scriverò una
storia.”
“Ma dai! Sei
proprio una bambina interessante e intelligente.”
Anna era decisamente avanti per l’età che aveva, i suoi
discorsi denotavano perspicacia ed elaborazione, capacità alquanto sviluppate
per una bambina di prima elementare.
“E di me cosa annoterai?” Aggiunsi.
“Non so,
dipende.” - rispose con sguardo misterioso.
Estrasse dal suo zainetto un quaderno piccolo, tipo
“Moleskine”, e me lo porse con una penna. Sulla copertina tralci di fiori di
mandorlo rosa aveva toni delicati. Molti fogli all’interno erano scritti, ma per
non mettere a disagio la piccola, non mi soffermai a leggere.
Che scriverle? Ci
pensai su e mi venne in mente una frase: “Ogni storia è una storia infinita”,
mi sembrò calzasse a pennello con il nostro incontro e la scrissi.
“Fatto” - le
dissi richiudendo il quadernetto e restituendolo.
La bambina lesse ciò che avevo scritto e si fece un attimo
pensierosa.
“La conosci
già?” - Le chiesi.
“Sai dove ho trovato questa frase? Su un
libro che sono sicura ti piacerebbe leggere… o la mamma l’ha già fatto?”
E mi sentii in dovere di aggiungere:
“Si tratta de La storia infinita di
Michael Ende. Chiedile, certamente la conosce.”
Con un buffetto le
sfiorai la guancia, aveva una carnagione rosea, liscia, vellutata come una
rosa. La madre sbucò da dietro l'angolo dove era scomparsa qualche minuto prima
e io ritirai subito la mano, quasi vergognandomi del gesto.
Il nostro incontro finì lì.
La piccola s'allontanò con la mamma per accedere al gate di
partenza, ed io a disagio nel silenzio in cui ero finita, mi sentii quasi
sprofondare sul sedile, come fossi stata privata di qualcosa di vitale.
Chiusi il libro e lo riposi nella borsa, mi era passata la
voglia di leggere.
Stefania Pellegrini ©
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