Buona lettura.
Una giovane, avrei detto come se ne incontrano tante, non poteva avere
più di diciassette anni. La conobbi in un periodo inquieto della mia vita,
una mattina in un bar. Mi piaceva scrivere, affidare al foglio le mie emozioni,
inventarmi storie, ma da un po’ di tempo la mia creatività era come appisolata.
Mi mancava quella vena che metteva in corpo energia e motivava la fantasia e le
mie giornate. Il caldo soffocante di
quell'estate poteva esserne la causa, ma più probabilmente era il periodo
incasinato che stavo vivendo in famiglia.
Mi urtò il braccio con il gomito sinistro mentre stavo sorseggiando un
caffè al banco e qualche goccia finì sul vestito blu che indossavo. La ragazza, mortificata, continuava a
chiedermi scusa e a insistere per ordinarmene un altro. Le dissi che non era il caso, l’inconveniente era di
poco conto.
Aveva un piercing fissato sul centro del labbro inferiore e il lungo
abito leggero di mussola a fiorellini, tenuto su da due sottili laccetti, con
una balza arricciata al fondo,
lasciava scoperti dei tatuaggi sulle spalle, tra cui un
bocciolo di rosa.
Poco dopo un uomo ci raggiunse, l’afferrò per un braccio in malo modo, e la costrinse a seguirlo
fuori dal locale. Non ebbi il tempo di
reagire, e rimasi impalata come un
baccalà a seguire la scena. Quell’uomo era stato maleducato e prepotente ed io non avevo detto niente, ma ormai non potevo farci
più nulla e finì che mi misi l’animo in pace.
***
Passò del tempo, l'estate un ricordo. Settembre, o forse
ottobre, una bella giornata comunque, ancora estiva. Stavo passando per il mercato
rionale affollato di gente.
Distrattamente intravidi una giovane dietro altre persone, agitava le braccia in
segno di saluto, cercando di farsi notare.
“E adesso, questa che vuole?” Poi la riconobbi e accennai un sorriso forzato, rispondendo controvoglia al saluto.
Non ero dell’umore giusto per fare incontri quel mattino. Ero contrariata per non poter prelevare al bancomat perché non trovavo la mia carta di
credito. Avevo messo a soqquadro la casa, e non era saltata fuori.
La giovane, per niente scoraggiata dall’espressione del mio volto,
accelerò il passo per raggiungermi. Alta, molto magra, aveva una camminata
leggera, che ricordava la grazia di una farfalla. Indossava grossi orecchini
pendenti gialli a forma di fiore e l'abito verde in fantasia della prima volta.
I suoi occhi turchesi erano così grandi che parevano contenere un mare
dentro e i capelli lunghi di un biondo slavato tendente al bianco, annodati in
tanti cordoncini, ricordavano la criniera di un leone.
-Ciao, mi
disse, ti ricordi?... Ci siamo già incontrate qualche tempo fa al bar… il caffè... ricordi? Mi chiamo Sofia e vorrei scusarmi per l’altra volta. Sai mio
fratello è molto possessivo e mi controlla. Gli voglio bene, ma sai com’è: a
volte vorrei sparisse perché è davvero un rompiscatole. –
Mi guardava dritta negli occhi con una certa spavalderia, però il tono
della voce, il leggero tremore della bocca, mi fecero pensare ci fosse in
quelle scuse una forzatura. Ma fui subito distratta dal ricordo delle lacrime versate per le litigate con mio fratello, ai tempi in
cui ero poco più che una bambina. Così per alleggerire il momento gliene
parlai, raccontando i suoi modi troppo protettivi e che trovavo ridicoli. Non lo sopportavo, non si fidava di me e mi dava fastidio dover giustificare ogni mio spostamento.
Ci scherzammo un po’ sopra, ma c’era confusione intorno a noi, voci che andavano,
venivano, si faceva fatica a capirci. Così le proposi di andare in un luogo
tranquillo, magari per berci qualcosa e scambiare quattro chiacchiere. La presi
dolcemente sotto braccio e la guidai verso il bar dietro l’angolo.
Cercai una posizione un po’ appartata a un tavolino all'interno e ordinai
un caffè per me e una bibita per lei. Il locale era tranquillo, nonostante il
mercato vicino: solo due clienti appoggiati al bancone e un’anziana seduta
dall’altra parte della stanza. Si respirava un’atmosfera piacevole e mi
distrassi ad ascoltare la barista che conversava allegramente con uno dei due
avventori. Presi a sorseggiare il mio caffè e spostai gli occhi sulla mia
compagna che fino a quel momento era rimasta in silenzio con lo sguardo basso. Beveva
lentamente la sua coca concentrata o forse assorta nei suoi pensieri. Non mi
pareva molto rilassata. Si trastullava con il bicchiere girandolo tra le mani,
poi lo posava e prendeva a torcersi le dita lunghe e sottili.
C’era qualcosa in lei che mi sfuggiva, ma non capivo cosa.
Presi a parlare del tempo, di cose futili, così tanto per metterla a suo
agio e Sofia parve allentare la tensione e ritrovare la voce.
Finì la sua coca-cola e prese a raccontarmi una storia.
Mi parlò del fratello, aveva dieci anni più di lei. La teneva chiusa in
casa e la lasciava uscire solo per mezz'ora al giorno o per andare a scuola,
pedinandola spesso. I suoi genitori erano morti entrambi in un incidente
stradale qualche anno prima. Un forte dolore e una grande perdita che non aveva
ancora superato. Dopo la tragedia, il
fratello si era dovuto trasferire in quella città per lavoro, e l’aveva portata
con sé costringendola a cambiare scuola e a lasciare le amicizie. Mi parlò
delle sue difficoltà a inserirsi nella nuova vita. Mi parlò di infelicità, di
solitudine, di disagio, di stati d’animo che nessuno attorno a lei aveva
compreso. Parlava, parlava e più raccontava, più trovavo tutto poco chiaro e
logico, c’erano omissioni, mancava qualche collegamento. Finì che ci capii
sempre meno, ma cercai di non mostrarle i miei dubbi.
-Perché questa ragazza mi sta raccontando tutto questo? A me... una
sconosciuta. - Che motivi ha
quell’uomo per tenerla chiusa in casa, quasi segregata, e controllata a vista? -
-Mi sta forse nascondendo qualcosa? -
Allora le chiesi dove abitasse e Sofia mi spiegò vagamente, parlandomi di
una zona alla periferia della città, ma omise il numero civico e il nome della
strada, e io per delicatezza non lo chiesi. Avremmo avuto tempo, più avanti.
Le proposi altri incontri, pensai potessero aiutarla, se era sola
e infelice come raccontava. Così ci salutammo dandoci appuntamento per il
mercoledì successivo in quello stesso bar.
La seguii con lo sguardo mentre si allontanava con quel suo passo leggero
di farfalla, e l’abito svolazzante di qua e di là. Mi faceva tenerezza, così
dolce e fragile. Rientrai a casa, però,
con la sensazione spiacevole di un amaro in bocca e con maggiore inquietudine
di quando ero uscita.
- Possibile si fosse inventata tutto? -
La
sua storia era infarcita di fantasie. Aveva parlato attraverso sensazioni,
guidata credo dalle sue emozioni, più che da qualcosa di completamente reale,
almeno questa era la mia opinione.
- Chi era veramente? -
***
Continuammo a incontrarci ma il quarto mercoledì mancò l’appuntamento, l’aspettai per una buona mezz'ora, poi tornai a casa. Pensai avesse avuto un contrattempo, e me ne dimenticai. Però non mancai agli altri appuntamenti, ma Sofia non si presentò più.
Allora mi pentii di non aver mai cercato di saperne di più. Ora avevo pochi dati
per rintracciarla. Mi misi egualmente a cercarla. Andai in periferia, chiesi
sue notizie al bar che frequentavamo, chiesi in giro a chi pensai potesse
averla vista, nessuno però sembrò conoscerla.
Era come sparita nel nulla, ed io non riuscivo a dimenticare i suoi occhi
turchesi, il mare inquieto che vi avevo letto dentro, il viso dolce, la voce
bassa a tratti timorosa. Arrivai persino ad aprire il giornale e a scorrere la
pagina della cronaca in cerca di sue notizie. La cercai nei volti tra la folla. Una notte la sognai che mi chiedeva aiuto.
Tornai al mercato, al bar nelle ore che ci eravamo incontrate la prima volta, sperando sempre in un incontro che mi tranquillizzasse.
***
Una mattina, circa un anno dopo, la cameriera del bar, dove passo per la
colazione, mi prende in disparte e mi dice: - Sai quella ragazza che cercavi? Mio fratello ieri mi ha parlato di lei, un suo amico vive
nel palazzo dove abitava. -
-Abitava?... Ha forse cambiato ancora città? - La guardo stranita, allora è
per questo?
La barista mi porta in disparte, in un angolo tranquillo del locale e ci
sediamo a un tavolino. Mi faccio portare un’acqua tonica con ghiaccio
e limone. Mi è venuto sete. Un’arsura improvvisa mi sta
prosciugando la gola.
Lei prende a raccontare quello che ha saputo e io resto lì ad ascoltarla
senza trovare parole per intervenire. Ma, più va avanti con il racconto e più
mi sale una rabbia che faccio fatica a contenere.
Sofia mi ha mentito. Ero preparata a rivelazioni anche spiacevoli, eppure
scoprire che ho parlato con una Sofia che in realtà si chiamava Anita, una giovane
fuggita da una comunità di recupero a circa un centinaio di km di distanza da
lì, mi fa male. Mi sento presa in giro.
Come posso non essermene accorta? Tutti quei bei discorsi di
incoraggiamento, e non ho mai capito quali problemi avesse veramente.
- Ma brava, mi dico e adesso sentiti pure in colpa. – Avresti potuto fare
qualcosa? Forse... avrei potuto? – Non lo saprò mai, come non saprò mai perché si facesse
chiamare Sofia. Il suo corpo, privo di vita, è stato ritrovato da un passante vicino ad un cespuglio in un cortile adiacente al caseggiato dove viveva.
Sofia, faccio fatica a chiamarla Anita, è morta! Morta per overdose, una settimana prima.
La
rivelazione mi lascia scioccata, non riesco ad accettare l'idea. Povera ragazza, era poco più che una bambina.
Cerco di rimettere insieme tutta la storia.
In realtà, la giovane non aveva fratelli, solo due genitori preoccupati
che l’hanno cercata per molto tempo. Viveva con un uomo, probabilmente quello
intervenuto al bar al primo incontro, e con altri sbandati come lei, in un
appartamento di uno stabile alla periferia del paese vicino.
In definitiva la sua storia, l’aveva un fondo di
verità. La colpa è mia, stava a me saperla leggere tra le righe. Sofia era
davvero prigioniera! Prigioniera della droga e forse anche di quell’uomo con
cui si accompagnava.
Cercava libertà? Cercava stabilità, equilibrio? Forse andava solo
cercando se stessa.
-Benedetta
figliola, perché non hai provato a farmi capire? -
O forse aveva provato, ma io non c'ero arrivata. Per questo mi aveva fermato? Perché cercava aiuto? Ed io, che avevo fatto?
Un bel niente, sono stata solo capace di dubitare, e non ho compreso quello
che Sofia stava davvero vivendo.
Se avessi dato un po’ ascolto al mio istinto e avessi provato a cercare
la verità? Forse… chissà. Sono confusa… triste… amareggiata anche. È facile
pensare che doveva andare così, che neanche io avrei potuto salvarla.
Resta il fatto che non ci ho provato.
Stefania
Pellegrini ©
Una triste storia, che racconti con molta bravura. Ho letto assaporando l'amarezza. Un caro saluto, Stefania.
RispondiEliminaGrazie Felice, sei molto gentile, grazie per l'attenzione.
EliminaAscolto dall'hotel val pusteria https://www.bonfanti-hotel.com/
RispondiEliminaÈ proprio così: ci sono persone che si rompono, che si perdono e noi non si riesce a riagganciarle.
RispondiEliminaHa descritto bene come svicolino parlando, ma non parlando
Grazie Alberto per la tua visita e l'attenzione rivolta al mio racconto..
EliminaSteffi, un relato que mantiene la inquietud hasta el final, me ha gustado enormemente amiga, mantiene en ti ese deseo de segir leyendo para descubrir el secreto de esa vida..
RispondiEliminame ha encantado, te felicito
Un abrazo y buen fin de semana
Ciao Stefania.
RispondiEliminaUn racconto davvero particolare che parla di fiducia e voglia di comprendere le persone per aiutarle e salvarle in qualche modo. Non sempre ci riusciamo ma non è colpa nostra. Ciò che conta è il desiderio di conoscerle queste persone e se non ci riusciamo e solo perché non ne abbiamo avuto realmente la possibilità. Ciò che conta è provarci. Sentirsi in colpa per non aver compreso serve a poco.
Abbraccio forte e grazie per questa bellissima tua storia.
P.s. credo ci sia un errore di battitura ma forse non ho compreso io. Te lo indico lo stesso così, se fosse come penso lo correggi: "Finì la sua coca-cola e prese a raccontandomi una storia". Di nuovo ciao e buona serata.
Grazie Pia per la segnalazione, si tratta di una svista lo correggo subito. E grazie x il tuo apprezzamento. Purtroppo in questi giorni sono a letto influenzata, è un momento non troppo buono,spero non sia covid, comunque appena mi riprendo passo x un saluto. Grazie ancora
EliminaCiao Stefania. Ho visto che sei passata e questo mi rincuora. Spero che ora vada tutto bene e che non sia stato Covid. Un forte smack e buona Domenica.
EliminaUn racconto che ho letto con piacere.Ciao
RispondiEliminaCiao bel racconto. Brava. Occasioni mancate poi è un titolo interessante. Chi nella sua vita non ha avuto delle occasioni mancate. Delle opportunità che per motivi diversi non ha potuto o voluto cogliere. Un saluto e buona continuazione di settimana
RispondiEliminaEro convinta di aver lasciato un commento al tuo bel racconto ma non lo vedo, comunque sia lieta Pasqua Stefy, tantissimi auguri a te e ai tuoi cari, abbraccio!
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