venerdì 6 settembre 2024

Nuovo racconto: Incontri al castello.

 


BUONA LETTURA

“Domani non vengo.” Daniela sapeva che Angela non l’avrebbe presa bene, ma non poteva fare altrimenti, in fin dei conti si trattava solo di rimandare a un altro giorno.

“Come non vieni? Sono settimane che ne parliamo e adesso me lo dici così, all’ultimo minuto che non vieni. Io che dovrei fare?”

“Lo capisco e mi dispiace. Mia madre ha bisogno di me e non posso dirle di no. Sai com’è fatta. Sentiti libera di andarci da sola, altrimenti lo facciamo insieme il prossimo sabato.”

Angela riattaccò il telefono un po’ seccata, contava su quella gita per distrarsi e staccare dal lavoro stressante della settimana, oltretutto era un periodo che si sentiva particolarmente sola.  E adesso?

Tirò fuori dal frigo la bottiglia di bianco e se ne versò un po’ nel bicchiere, poi prese il telecomando, accese la tv e si mise a fare zapping indecisa sul da farsi: Che faccio, ci vado da sola? Ma non sarà la stessa cosa. Però se domani resto a casa, lo so già, mi gireranno le palle tutto il giorno.

Le previsioni meteo promettevano una splendida giornata calda. Aveva già preparato sul tavolo il termos con l’acqua, qualche snack e un panino per il pranzo. Lo zainetto era pronto in camera… con le scarpe da jogging vicino… Mancava solo la sua decisione.

 Perché rimandare? Aveva voglia di andare e allora? Nessuno le vietava di farlo da sola. A quel pensiero si sentì più sollevata, andò in bagno e si fece una doccia. Poi si infilò nel letto e caricò la sveglia per le sette del mattino. Il tempo di fare colazione e poi via, in mezz’ora di macchina avrebbe raggiunto il lago e da lì successivamente si sarebbe incamminata verso il castello con una piacevole passeggiata di un’ora circa. Magari anche un po’ meno, considerando che da sola avrebbe mantenuto un passo più sostenuto.

***

Il lago era in apparenza tranquillo quella mattina, una famiglia di germani si lasciava portare dalla corrente, altri sonnecchiavano a riva sotto l’ombra di un salice e c’erano folaghe che becchettavano nell’acqua. Stranamente incontrò solo un paio di coppie di anziani che passeggiavano lungo la riva, e si sentì invadere da un senso di calma. Pensò di approfittarne e di sedersi all’ombra di grossi alberi sul pendio erboso prominente la sponda ovest del lago. Una leggera brezza rendeva l’aria piacevole e notò al largo un’imbarcazione che navigava a vele gonfie davanti a lei. In lontananza le sembrò non più grande di una barchetta di carta. Oscillava e zigzagava veloce spostandosi leggera sul pelo dell’acqua. Chissà che sensazioni si provano a trovarsi là in mezzo, da soli, con nessuno attorno? Ti senti sperso, in balia del vento e delle correnti o padrone del tutto? Si chiese Angela. 

Non era mai salita su una barca a vela e si ripropose di farlo, magari un giro breve di mezz'ora, tanto per capire cosa si prova. Probabilmente al mare sarebbe stato diverso, ma valeva la pena tentare, pensò. Per intanto si sarebbe informata chiedendo a Sergio, un collega appassionato di vela. 

La mattina volò in fretta, scattando qualche foto e leggendo alcune pagine del libro che si era portata da casa. Allo scoccare del mezzogiorno aprì il sacchetto che aveva nello zaino e si mise a mangiare. Benché in quel luogo ombroso stesse bene, aveva deciso di raggiungere comunque il castello. Ormai era curiosa di visitarlo. Alcuni colleghi le avevano detto che poteva arrivarci anche con la vettura, ma che il tratto a piedi le sarebbe piaciuto per la piacevole camminata in mezzo alla natura. 

Dal lago al paese, dove avrebbe trovato la strada per il castello, c’erano appena cinque minuti in macchina e si chiese perché, nonostante la vicinanza, non fosse mai stata là.

***

Parcheggiò sulla piazza all’entrata del paese e si incamminò. Qualcuno le aveva parlato di un percorso su un sentiero sterrato in mezzo ai boschi ma, scesa dall’auto, notò un cartello segnaletico che indicava di entrare in paese. Si guardò meglio attorno e notò un’altra indicazione. Era posta su una strada asfaltata alle sue spalle che girava in un tornante cieco in salita. Probabilmente si poteva raggiungere il castello seguendo due percorsi diversi. Angela si guardò attorno per chiedere, ma la piazza, forse per l’ora dovuta al pranzo, era deserta. In quel mentre le venne da sorridere pensando a Daniela che, se fosse stata con lei quel giorno, non avrebbe avuto dubbi nel prendere l’indicazione per il paese, pensandola meno faticosa. Conosceva troppo bene la sua scarsa propensione a quel tipo di camminate.

Niente comunque faceva supporre che quello fosse il percorso più agevole e corto, e una passeggiata anche più lunga a lei poteva andare bene, quindi nell’indecisione imboccò, con zaino a spalle, il tornante. Dopo pochi minuti di salita si trovò fuori dall’abitato su un sentiero sterrato come quello che le avevano descritto.

Ritrovarsi in mezzo alla natura fu piacevole, e per niente disagevole. Il sentiero che costeggia il bosco di castagni e campi coltivati, procedeva abbastanza pianeggiante e a tratti in ombra. Ogni tanto incrociava qualcuno che probabilmente stava scendendo, ma in linea di massima il percorso era poco frequentato e tranquillo quel giorno. Dopo una mezz’ora circa incrociò una strada asfaltata con un’altra indicazione e intravide la sagoma di alcune case. La imboccò e proseguì in mezzo all’abitato. La giornata non era calda, decisamente con una temperatura dolce e piacevole. Angela si sentiva di buon umore e rilassata, le capitava spesso quando faceva quel tipo di passeggiate.

A un certo punto lo vide. Un’imponente costruzione, posta sulla cima di un colle, un po’ spostato alla sua sinistra. A lato di una strada d’accesso per le macchine, un passaggio pedonale, che si inerpica in un paio di leggere salite, la portò all’ala dietro il castello.

Raggiunto l’antico maniero fu attratta subito dall’ampia balconata belvedere e si diresse nella sua direzione. Lo spettacolo del lago non tradiva le aspettative, era davvero stupendo. Solo quello meritava la camminata.  Da quella distanza i colori bruniti e dorati della vegetazione, la distesa di vigneti e frutteti della campagna sottostante, l’immobilità del lago le apparvero in tutta la loro bellezza e solennità, se ne sentì attratta e si perse in quel loro regale silenzio. 

“La sta cercando anche lei? È riuscita a vederla?” Una voce maschile alle sue spalle la fece trasalire. Voltandosi di scatto si trovò davanti un giovane alto con i capelli mori, era a pochi passi da lei. Sorrideva con uno sguardo simpatico.

“Scusi?” Rispose Angela in tono interrogativo e aggiunse: “Cosa dovrei vedere? Non capisco.” 

“Ma come, non sa della storia che si racconta da queste parti? La conoscono tutti.”

“Mi dispiace, io no.”

“Vede, si dice in giro che in certe giornate, da quassù, si possa vedere affiorare sul lago il volto di una giovinetta che un po’ di anni fa si è suicidata proprio gettandosi dalla sponda di ponente.  È strano vero? Non so se ci sia un fondo di verità, io non l’ho mai vista. Ma sa come sono queste storie, da una voce ne nasce un’altra e un’altra, fino a che la gente del luogo finisce per parlarne spesso e la fa diventare vera anche se non lo è. Comunque si racconta che sono stati in molti ad aver assistito a queste apparizioni. “ 

Istintivamente Angela si voltò di nuovo verso lo specchio d’acqua, come influenzata da ciò che le era stato appena raccontato, lo vide incresparsi e da quel movimento affiorare sulla superficie qualcosa che non riuscì a distinguere. Non ebbe modo di capire perché un attimo riportò tutto allo stato precedente di immobilità e impenetrabilità. Si riscosse, cercando di scacciare l’immagine dai suoi occhi, ma non poté negare a se stessa di esserne uscita turbata. Si riprese nell’istante in cui il giovane le diceva di chiamarsi Federico, di abitare a Biella e le proponeva di darsi del tu.  Aveva un fare amichevole e cordiale, una dialettica non indifferente, dovette ammettere Angela, le cose le sapeva dire.

Federico non aspettò una sua risposta per passare all’illustrazione turistica del luogo.

 “Il castello ha origini antiche - raccontava. - Come certamente saprai, nel III secolo d.c. era già una fortezza. Quello che credo tu non sappia è che, purtroppo da un po’ di tempo, non è visitabile all’interno. Si viene qua sopra e ci si deve accontentare del paesaggio che vediamo dal suo terrazzato. Sai che nel 1459 un tal cavaliere Bernardo venne chiuso nel castello in un’armatura e murato vivo perché aveva perso una disputa con un suo rivale? Credimi, non è una leggenda.  Pare che durante le opere di restauro siano stati trovati i resti di un uomo in armatura dietro una parete che portano ad avvalorare la storia.”

“Intorno alla giovinetta, invece, che puoi aggiungere? Quale spiegazione è stata trovata?” Lo interruppe Angela.

“Pare che la ragazza, innamorata di un giovane suo coetaneo, si fosse lasciata affogare nel lago perché i genitori l’avevano promessa a un altro e volevano costringerla a sposarlo. Le apparizioni sono iniziate qualche tempo dopo la sua morte e solo a donne giovani. Quando qualcuno ha cercato di saperne di più è venuto fuori che avevano tutte in comune problemi sentimentali irrisolti. Non so però che fondo di verità abbiano e francamente non mi interessa. 

“Ma non trovi sia strano?” Aggiunse Angela.

“Certo. Per me è solo un fenomeno che deriva da un effetto ottico che si crea sul lago. Magari a seguito di una serie di coincidenze: come la quantità  d’aria che muove la superficie e si scontra con le correnti del lago… un determinato momento atmosferico di luce… in base alla posizione del sole… il modo in cui i raggi trafiggono lo specchio d’acqua con il passaggio di qualche nuvola... Insomma non è niente di misterioso. La gente ha bisogno di trovare una spiegazione a ciò che non si sa spiegare perché dà certezze e sicurezze. Il fatto è che la fantasia delle persone galoppa sempre un po’ troppo. Basta che uno racconti qualcosa e qualcun altro la riporta subito ingigantita.”

***

“Senti, che ne dici se scendiamo insieme e ci fermiamo in paese a prenderci qualcosa da bere? Mi piacerebbe conoscerti meglio.” Proseguì Federico.

Angela non rispose subito, perché la storia appena ascoltata la portò a pensare ad Antonio, il suo ragazzo. Improvvisamente realizzò quanto le mancasse parlare con lui, così anche semplicemente come aveva fatto quel pomeriggio con Federico. Da quanto tempo non lo sentiva? Una settimana? Da come sentiva la sua mancanza le pareva trascorso più tempo.

Antonio, per il suo mestiere di giornalista, era sempre in giro. Si spostava di frequente e spesso non riusciva neanche a mettersi in contatto con lei. Quando andava bene, e potevano a parlarsi, cadeva la video chiamata dopo appena cinque minuti. Da circa sei mesi, Angela doveva accontentarsi di incontrarlo per qualche ora tra un volo e un altro. Erano poche le volte che potevano stare insieme per più di due giorni e lei era stanca di quell’amore a intermittenza. Voleva sicurezze, certezze che lui, a parte promesse, continuava a non darle.

Antonio l’amava ancora? Se l’era chiesto spesso in quegli ultimi mesi e improvvisamente realizzò che forse neanche lei lo amava più come prima. Era arrivata l’ora di chiarirsi, di andare a fondo, pensò. Sentì di non essere più disposta a sacrificare la sua vita per lui.  Non era felice.

Guardò Federico, i suoi occhi marroni, pensò al piacere che le aveva procurato la sua presenza, al modo di raccontare che l’aveva messa subito a proprio agio. La sua spontaneità, la semplicità. Non sapeva spiegarsi ma era come se lo avesse conosciuto molto prima di quel pomeriggio.

Per troppo tempo si era sentita sola e rispose:

“Dico che un’ottima idea.”

Fine.

 Stefania Pellegrini © 

Storia inedita  - anno 2024

DIRITTI RISERVATI ALL'AUTORE


martedì 9 luglio 2024

RACCONTO: l'Isola del faro dalla raccolta "EVASIONI TRA LE RIGHE"

 “… lei non tradisce, non abbandona, è sempre presente quando ne ha bisogno. Alla fine è questo che conta, sapere che c’è per lui, con le sue tacite intese, con quel suo panorama, da nord a sud…”


Dalla mia raccolta "EVASIONI TRA LE RIGHE" CTL Editore - vi ripropongo un racconto già presentato su questo blog un po' di anni fa, ma rivisto, per la pubblicazione, in alcuni passaggi. 

Il libro si può acquistare sui principali store online.

BUONA LETTURA


L’isola del faro


Un suono sordo, continuo, agita la notte buia e senza luna, mentre il cielo imbronciato nasconde la prima stella. Ruggisce furioso il mare, percuote le alte scogliere con gigantesche onde, che a tratti nebulizzano in nuvoloni di candida spuma, e ricadono scivolando sulla roccia. Il silenzio, non trova pace né cavità dove sostare, sopraffatto dal frastuono.

Che strana creatura è il mare, pensa l’uomo, è un po’ come la mia mente. Saggio, e generoso, a volte pure docile, ma anche imprevedibile e di pessimo carattere. Irrequieto e minaccioso a giorni, nel buio solo fragore, urlo assillante e cieco.

Non si augurerebbe certo di trovarsi su una barca adesso, in balia di onde gigantesche e di tutta quell’energia che sprigionano con le incursioni, le capriole, le scivolate, e il vento selvaggio che fischia fuori. Ulula così fastidioso che non può fare a meno di immaginarne la sua violenza mentre percuote, trascina via, ciò che trova sulla sua strada fino a risvegliare tutti i demoni del cielo. Ne è così impressionato che li sente vicini, e li vede pure.

Volano in tondo oltre la finestra, pipistrelli enormi con larghe ali distese come aquiloni al vento, inquieti e minacciosi.

Via - Via.” Grida agitato, alzandosi in piedi.

Si tappa le orecchie con le mani per coprire il rumore assordante che non riesce a sopportare. La sensazione è di un già vissuto, di un ripetersi che lo angoscia, l’afferra alla gola, e gli scorcia il fiato. Si accascia privo di forze sulla sedia di paglia, vicino al vecchio tavolo in legno.

Un forte ronzio nelle orecchie lo destabilizza, gli fa girare la testa. Farnetica parole senza controllo, e scivola in un breve stato confusionale, intrappolato in uno spazio senza tempo. Quando torna in sé vede le lancette dell’orologio al polso ferme, come congelate.

Quanto vorrebbe controllare quella sua mente che continua a tormentarlo con strane visioni e, di tanto in tanto, lo fa precipitare nell’oscurità!

Non ricordare come sia arrivato su quelle coste… da quanto tempo… e non spiegarsi il perché si trovi lì, sono i motivi che lo tormentano nei brevi momenti di lucidità. Lo inquieta interrogare la memoria e sfogliare pagine bianche, trovarsi davanti a una trama sfilacciata, piena di interruzioni e di fili spezzati che nessuno potrà rimettere insieme.

È come guardarsi allo specchio e non riconoscersi, cercare il passato e non trovarlo, ed essere assalito dal dubbio di non aver vissuto.

Per fortuna c’è l’isola con i suoi ritmi, come i movimenti del cielo, le rotazioni del giorno e della notte. In loro legge promesse rassicuranti, trova stadi di profondo benessere che lo aiutano a sentirsi in pace con la sua anima tormentata.


***


Avvolta da una vegetazione rigogliosa, l’isola è una piccola oasi disabitata fuori da itinerari turistici ma l’uomo non si sente isolato. Sull’isola tutto è presenza, compagnia rassicurante e silenziosa, incroci di aromi amabili mai conosciuti prima. La sua voce, è un concerto diffuso di violini, una melodia che copre l’eco delle sue ansie e ammutolisce le voci della mente… E lui sente di amarla quell’isola come forse non ha mai amato una donna. Lei non tradisce, non abbandona, è sempre presente quando ne ha bisogno.

Alla fine è questo che conta, sapere che c’è per lui, con le sue tacite intese, con quel suo panorama, da nord a sud: una distesa azzurra uniforme che pare confondersi con il cielo e poggioli ricoperti di muschio e freschi fili d’erba, la natura che respira e gli parla del senso della vita.

Raccontare all’asino trovato sull’isola lo distrae, lo fa sentire al centro di quel piccolo universo bucolico. Cosa poi dica, certe volte neanche lui sa bene, lo fa per non dimenticare il tono della sua voce, e dare vita a storie che la povera bestia non può capire.

Altre volte disteso sull’erba, sprofondato e abbandonato a uno spazio privo di pensieri, si acquatta in un mondo senza confini e prende ad ascoltare la voce dei suoi respiri. Allora lo raggiunge una pace quieta e accomodante. In uno stato d’animo di piacevole leggerezza è colto dalla sensazione di trovarsi sulla distesa azzurra portato dalla corrente e a quel punto ha la visione: di un pontile, di bambini che corrono nell’erba, e aquiloni variopinti volare nel cielo, delle volte è una casetta gialla e il volto di una donna alla finestra, giovane e bella, con lunghi capelli neri che le incorniciano il viso sorridente e rubicondo. Scene di un attimo, che si ridimensionano rapidamente in immagini sfuocate lontane, così lontane, da farlo dubitare siano mai state.


***


Gli fanno compagnia quell’asinello dal pelo spelacchiato, vecchio e malandato e i gabbiani che, sono dappertutto, volando, garrendo tutto il giorno. Scendono a gruppi, per niente intimoriti; con piglio regale camminano sull’erba e, ormai abituati alla sua presenza, gli passeggiano vicino.

Non sa bene dove abbiano i nidi, dove trovino pace, ma non gli importa. È solo interessato alla loro presenza e all’assidua compagnia, affascinato dalle candide ali che abbracciano l’aria e disegnano invisibili sentieri nel vento, come è attratto dalla leggerezza con cui sfiorano l’acqua e risalgono con il cibo.

Disteso sull’erba, con il tepore del sole che gli bacia la pelle, e il suono del movimento dell’acque sottostanti nelle orecchie, si lascia andare a una piacevole sensazione di trasporto. Prende a seguire le nubi sfilare in cielo, bianche, candide, ne studia le forme e si perde a fantasticare sui movimenti dell’elegante volo dei gabbiani.

Vorrebbe tanto affrontare il vento come loro.

Sull’isola c’è solo un faro, una costruzione grigia e vecchia che svetta sul poggiolo più elevato, un tempo in uso e abitato.

Su un diario, che ha rinvenuto in uno degli alloggi dei guardiani, si racconta di quell’epoca e di un piroscafo che ancorava all’isola ogni quindici giorni portando viveri, giornali e il personale per il cambio turno.

In uno scantinato annesso, in una specie di stanza senza finestre, chiusa da una vecchia porta in legno, ha rinvenuto ancora delle patate, farine e scatolame vario e si è convinto che prima o poi qualcuno tornerà a prendere quella roba, e lo aiuterà a lasciare l’isola. Ma sono solo certezze e pensieri senza consistenza.

A tratti, purtroppo, si direbbe chiuso in una bolla, un po’ come se fluttuasse in aria avvolto dalla nebbia, in cerca di un mutare, di una dimensione meno scomoda, a impedire al suo corpo di andare contro vento, e di lasciare a terra la mente con gran parte dei ricordi.

Forse un tempo è stato un marinaio. Ha avuto una famiglia, una casa, forse un cane, o forse no, è così tutto vago e nebuloso.


***


Ciao papà. Come stai oggi?”

L’uomo, distolto dai suoi pensieri, alla vista della donna entra in confusione. Non la riconosce e prova a cercare nelle pagine della sua memoria, ma per quanto si dia da fare, e si metta a navigare a vista, è un ritrovarsi in mezzo al fortunale, su un mare tenebroso, in balia dei marosi, senza alcun punto di riferimento, come fosse un guscio in mezzo all’oceano sconfinato, scombussolato dal rollio delle onde. Inquieto, spaesato.

Un viaggiatore senza passato e senza meta, si direbbe… che non veda l’orizzonte. Così, in questa estraneità disarmante, gira lo sguardo altrove.

Meglio tornare all’isola… ai gabbiani… Al bellissimo mare… a quel suo odore, un mix di salato, frizzante e retrogusto di alghe. Lo sente ancora nelle narici, ed è qualcosa che gli appaga i sensi.

L’uomo non è particolarmente vecchio, ma il tempo inclemente ha fatto un cattivo lavoro su di lui, accanendosi soprattutto con la sua memoria.


***


Papà, sono Luisa, tua figlia, mi senti?”

La voce lo richiama al presente. Controvoglia e con lentezza, riprende contatto con l’ambiente circostante. Gira gli occhi attorno. È seduto su una poltrona di stoffa grigia a disegni geometrici rosa, la stanza, dalle pareti bianche, è anonima, fredda, e c’è quella donna bionda che gli sta sorridendo. Tutto gli è estraneo.

Ha l'impressione di avere gli occhi appannati, e prova a passarci una mano sopra. Li sfrega, li contrae, cerca di mettere a fuoco la figura. Prende gli occhiali dal comodino e li infila.

Ora va meglio, la vede bene. Nota i suoi occhi, splendidi e azzurri come due acquemarine, la fossetta sul mento, e il sorriso molto dolce. Indossa un abitino leggero a fiori, è piccoletta, e di corporatura esile o perlomeno lui la vede così: una giovane donna, carina.

Qualcosa in quello sguardo non gli è del tutto estraneo, ma nuovamente eccola: la sensazione di vuoto e di buio. Nella memoria non c’è luce, né una lampadina da accendere.

Si dice di non conoscerla.

Una figlia? Lui non ha mai avuto una figlia, altrimenti lo ricorderebbe. E la stanza… be’, quella stanza non gli piace proprio, lo fa sentire a disagio. Prende a muoversi sulla poltrona per cercare una posizione più comoda. Ha caldo, prova a sganciare il primo bottone della camicia, ma non riesce a farlo.

Tutto sommato stava meglio prima.

Chiude gli occhi, si sente esposto agli umori altrui, e perde le sue sicurezze. Per sopravvivere ha bisogno della sua isola, lei è la sua oasi segreta.

Vorrebbe parlare del suo disagio, magari anche gridarlo, ma la bocca è secca, e contrae le labbra in una smorfia di disappunto mentre la sua isola fugge, va, e nessun pensiero riesce più a ritrovarla.

Apre di nuovo gli occhi, c’è silenzio nella stanza, ma la sconosciuta è ancora lì, è davanti a lui, e non sembra preoccuparsi del suo mutismo. Decide di non risponderle, tanto non capirebbe. È sua la colpa se non trova più l’isola.

Volge lo sguardo accigliato verso la finestra aperta: fuori il sole splende luminoso, il cielo è una distesa di mare azzurro. Nessun gabbiano in giro, solo passerotti che svolazzano, e cinguettano festosi, e c’è pure un grande giardino con piante di betulle e lillà in fiore, cespugli di rose rosse e gialle. Certo non è proprio come sulla sua isola, ma tutto sommato non è male. Pare ci sia anche silenzio e quiete.

Uno stato d’animo più sereno si fa strada in lui, la tensione, che gli irrigidiva le spalle, allenta la presa, e si allontana. Si passa una mano sulla barba corta e bianca che gli incornicia il viso e, con pollice e indice, se la accarezza.

L'esterno ha una visione che gli piace, gli trasmette tranquillità e l’idea dell'isola perde definitivamente consistenza. Altre immagini, altri pensieri stanno attirando la sua attenzione ora e dal suo volto, pian piano, sfumano i segni della contrarietà.

È primavera, ma lui non ha ben presente la stagione, o quale giorno della settimana sia. Il tempo non ha più significato e importanza. Distingue solo i suoi bisogni primari e adesso questi gli stanno dicendo che potrebbe uscire a fare una passeggiata.

Ruota lo sguardo verso la sconosciuta, vorrebbe sorriderle, ma riesce solo a contrarre le labbra in una smorfia. Nel frattempo la giovane ha avvicinato una sedia alla sua poltrona e gli si è seduta vicino. Prende la mano dell'anziano tra le sue e l’accarezza. Il contatto è piacevole e l’uomo la lascia fare.

Ora sente di essere pronto ad ascoltarla.

Prima lei se va - pensa - e prima potrò uscire.”


Stefania Pellegrini.