venerdì 4 dicembre 2020

Racconto: L'isola del faro

 

Un suono sordo, continuo, agita la notte buia e senza luna, mentre il cielo imbronciato nasconde la prima stella.

Ruggisce furioso il mare, percuote le alte scogliere con gigantesche onde, che a tratti nebulizzano in nuvoloni di candida spuma, e ricadono scivolando sulla roccia.

Il silenzio non trova pace, né cavità dove sostare, sopraffatto dal frastuono.

Che strana creatura è il mare, pensa l’uomo, è saggio, potente, e generoso, ma anche imprevedibile e di pessimo carattere: irrequieto e minaccioso a giorni, docile e dolce in altri e nel buio, poi, è solo fragore, urlo assillante e cieco.

Non vorrebbe certo trovarsi su una barca adesso, in balia di onde gigantesche e, preda di tutta l’energia che sprigionano… delle loro incursioni… le capriole, con quel vento selvaggio che sente fischiare fuori, e ululare fastidioso e lo immagina a percuotere, trascinare via, ciò che trova sulla sua strada.   

Ora ha l’impressione che tutti i demoni del cielo si siano svegliati, e si convince di sentirli vicino… li immagina enormi con larghe ali distese come grossi aquiloni al vento… e li vede pure, volare in tondo oltre la finestra … inquieti, minacciosi.

-Via - Via. – Grida agitato.

- Che ci faccio su quest’isola deserta, chiuso in un vecchio faro dismesso, in mezzo a un fortunale? -

Il rumore assordante lo disturba, la sensazione è di un già vissuto, di un ripetersi che lo angoscia, l’afferra alla gola e gli scorcia il fiato.

Come intrappolato in uno spazio senza tempo, cade in un breve stato confusionale e farnetica parole senza controllo. Quando torna in sé, vede le lancette dell’orologio nella stanza, immobili, come assopite in un sonno eterno.

È già successo? Quando?

Un forte ronzio nelle orecchie lo destabilizza, barcolla, si ritrova. Quanto vorrebbe controllare quella sua mente che, continua a tormentarlo con strane visioni e di tanto in tanto, lo fa precipitare nell’oscurità.

Come è arrivato su quelle coste? Da quanto tempo è là? Le sue interrogazioni non trovano risposte.

Eppure, a parte quel momento che sta vivendo, trovare l’isola è stato ciò che di più bello poteva capitargli. Ci sono ritmi, come i movimenti del cielo, delle rotazioni del giorno e della notte, che solo là può permettersi di vivere, e poi c’è quella sicurezza mai provata prima, la tranquillità, e l’armonia di cui ha bisogno; in loro legge promesse rassicuranti, trova stadi di profondo benessere.

***

Avvolta da una vegetazione rigogliosa, l’isola è una piccola oasi, un nido accogliente fuori da itinerari turistici; attraverso vecchie mappe, rinvenute nella torretta del faro, l’uomo è pure riuscito a localizzarne la posizione.

Il panorama da nord a sud è una distesa azzurra che si confonde con il cielo, una distanza, un’estraneità che lui sente solo apparenti, perché tutto è presenza su quell’isola, occhio che vigila silenzioso.

Siede su un poggiolo e prende a parlare all’asino che ha trovato là.

Parla… parla… più che altro per sentire la sua voce, e raccontare storie che la povera bestia non può capire… nate da una necessità, per un suo bisogno di viaggiare con la mente, di non sentirsi perso nel nulla.

Altre volte, disteso sull’erba, abbandonato a uno spazio senza pensieri né confini, è raggiunto da una pace: quieta… accomodante, come di piacevole leggerezza, di un andare sulla distesa azzurra portato dalla corrente ed è allora che vede un pontile… e poi dei bambini correre nell’erba… e aquiloni volare nel cielo, oppure una casetta gialla e il volto di una donna alla finestra… immagini sfuocate lontane, così lontane da dubitare siano mai state.

Gli fanno compagnia: quell’asino vecchio e malandato e i gabbiani bianchi, grigi, che sono dappertutto, volando, garrendo tutto il giorno. Scendono a gruppi, camminano sull’erba, l’avvicinano per niente intimoriti.

Non sa bene dove abbiano i nidi, dove trovino pace, ma non è importante, la loro compagnia è un diversivo piacevole a cui non rinuncerebbe mai.

È affascinato dalle loro candide ali che abbracciano l’aria, che disegnano invisibili sentieri nel vento, ed è attratto dalla leggerezza con cui sfiorano l’acqua e risalgono con il cibo. 

Disteso al sole… il tepore che bacia la pelle… il suono del movimento dell’acque sottostanti nelle orecchie… in un piacevole trasporto… segue le nubi sfilare in cielo, bianche, candide, ne studia le forme e si perde a fantasticare sui movimenti dell’elegante volo dei gabbiani.

Vorrebbe tanto affrontare il vento come loro.

 ***

Poi c'è il faro, un tempo in uso e abitato.

Su un diario, che ha rinvenuto in uno degli alloggi dei guardiani, si racconta di quell’epoca e di una nave che ancorava all’isola, ogni quindici giorni, portando viveri e giornali e il personale per il cambio turno.

In uno scantinato annesso, in una specie di stanza senza finestre, chiusa da una vecchia porta in legno, ha rinvenuto ancora delle patate, farine e scatolame vario e si è convinto che prima o poi qualcuno tornerà a prendere quella roba, e lo aiuterà a lasciare l’isola. Ma sono solo certezze e pensieri che si perdono, come fossero vento. 

A tratti si direbbe chiuso in una bolla, avvolto dalle tenebre, in cerca di un mutare, di una dimensione meno scomoda che riesca a impedire al suo corpo di nuotare contro corrente, lasciando a terra la mente.

È un po’ come se galleggiasse sospeso in un luogo fuori dai ricordi.

Forse un tempo è stato un marinaio.  Ha avuto una famiglia, una casa, forse un cane, o forse no… è così tutto vago e nebuloso…

***

 “Ciao papà, come stai oggi?”

 L’uomo gira la testa verso la voce, contrariato.

Cade in confusione e ondeggia tra la vaga sensazione di un disordine temporale, e un’estraneità disarmante.

Cerca pagine di memoria da sfogliare, prova a navigare a vista ma, per quanto si dia da fare, è un ritrovarsi in un mare tenebroso, in balia dei marosi senza alcun punto di riferimento, come fosse un guscio in mezzo all’oceano sconfinato, scombussolato dal rollio delle onde… inquieto… spaesato…

Un viaggiatore senza passato e senza meta, si direbbe… che non vede l’orizzonte.

Non ha riconosciuto la donna entrata nella stanza e gira lo sguardo altrove.

Meglio tornare all’isola… ai gabbiani… Al bellissimo mare… a quel suo odore che gli pare di sentire ancora nelle narici… è lui ad accogliere i suoi pensieri ansiosi, ad annegarli, scacciandoli con il suo suono infinito. Il mare... il mare è musica, è gioia, che lo inonda dentro.   

 “Papà, mi senti? Sono Luisa, tua figlia”

 La voce ignorata lo richiama al presente, controvoglia e con lentezza prende contatto con l’ambiente, all’apparenza estraneo. È seduto su una poltrona di stoffa grigia a disegni geometrici rosa, la stanza, dalle pareti bianche, è anonima, fredda, e c’è quella donna bionda che gli sorride.  

Prova a mettere a fuoco la figura, infila gli occhiali.

Ora la osserva meglio. Gli occhi azzurri sono splendidi.

Ha una fossetta sul mento, un sorriso dolce ed è pure carina.

Qualcosa in quello sguardo non gli è del tutto estraneo, ma nuovamente eccola: quella sensazione di vuoto e di buio. Cerca nella memoria, ma non trova, non c’è luce… né una lampadina da accendere… e allora che fare? Conclude di non conoscere quella donna… non ha mai avuto una figlia… lo ricorderebbe.

Quella stanza non gli piace, lo fa sentire a disagio e poi c’è lei… Come ha detto di chiamarsi? 

Tutto sommato stava meglio prima. 

Chiude gli occhi e cerca l’isola nella mente, si sente inquieto, esposto agli umori altrui, per sopravvivere ha bisogno di quell'oasi segreta.

Vorrebbe dirlo, magari anche gridarlo, ma non escono parole dalle sue labbra, adesso contratte in una smorfia di disappunto.

Di nuovo, tenta di rincorrerne il pensiero, ma è… svanito.

Non risponde alla sconosciuta, tanto non capirebbe.

È sua la colpa se non trova più l’isola. 

Gira lo sguardo accigliato verso la finestra aperta: fuori il sole splende luminoso, il cielo è una distesa di mare azzurro.

I gabbiani non ci sono, vede però dei passerotti che svolazzano, ne ode il cinguettio festoso… e poi c’è quel grande giardino con alberi e piante in fiore e anche delle panchine.

Uno stato d’animo più sereno si fa strada in lui. La visione dell’esterno gli piace, trasmette tranquillità.

 -Sarà primavera – realizza.  

 - Chissà che giorno è, oggi? Magari più tardi esco a fare una passeggiata. –

La tensione, a tale pensiero, l’abbandona, l’isola finisce in un limbo e la contrarietà del momento gli scompare dal volto.

Ora sente di essere pronto ad ascoltare la sconosciuta che nel frattempo gli si è seduta vicina e attende paziente un suo saluto.

 Stefania Pellegrini ©


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8 commenti:

  1. Ciao Stefania, mi piaci come scrittrice, un racconto scritto on dolcezza e sentimento nel quale mi sono immedesimato da grande amante del mare. Un mare in burrasca e poi la tranquillità del asino, due facce come la vita del protagonista.
    Un caro saluto.
    fulvio

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    1. Ti ringrazio Fulvio, troppo buono, ma sono contenta che ti sia piaciuto il racconto. Io mi sono divertita a scriverlo, in verità capita sempre quando scrivo una storia.
      Buon venerdì e grazie della visita.

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  2. Ho apprezzato molto questo racconto,buon pomeriggio.

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  3. Un dolce racconto che, come sempre in questi casi, mi ha fatto ripensare al mio papà, mancato l'anno scorso. Mio padre andava al mare ma non lo amava particolarmente, stava bene nel suo giardino e nel suo orto, dove gli piaceva lavorare. Ma ho rivisto , in questo anziano, la confusione di mio padre , negli ultimi tempi, quando, spesso , mi chiedevo a cosa stesse pensando. Saluti.

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    1. Mi sono chiesta cosa avvenga nella mente quando viene a mancare la memoria, e ho trovato questa visione. Naturalmente è romanzata, ma non riuscirei a immaginare che non ci sia più niente, soprattutto la fantasia....
      Mi spiace per il tuo papà, credo non sia stato facile accettare e convivere con le sue assenze. Grazie per la visita. Buona settimana.

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  4. Contento di averti letto in questo piacevole racconto
    Un caro saluto
    Giorgio

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  5. Ciao Giorgio, tante grazie per la visita. Buona serata.

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