martedì 9 luglio 2024

RACCONTO: l'Isola del faro dalla raccolta "EVASIONI TRA LE RIGHE"

 “… lei non tradisce, non abbandona, è sempre presente quando ne ha bisogno. Alla fine è questo che conta, sapere che c’è per lui, con le sue tacite intese, con quel suo panorama, da nord a sud…”


Dalla mia raccolta "EVASIONI TRA LE RIGHE" CTL Editore - vi ripropongo un racconto già presentato su questo blog un po' di anni fa, ma rivisto, per la pubblicazione, in alcuni passaggi. 

Il libro si può acquistare sui principali store online.

BUONA LETTURA


L’isola del faro


Un suono sordo, continuo, agita la notte buia e senza luna, mentre il cielo imbronciato nasconde la prima stella. Ruggisce furioso il mare, percuote le alte scogliere con gigantesche onde, che a tratti nebulizzano in nuvoloni di candida spuma, e ricadono scivolando sulla roccia. Il silenzio, non trova pace né cavità dove sostare, sopraffatto dal frastuono.

Che strana creatura è il mare, pensa l’uomo, è un po’ come la mia mente. Saggio, e generoso, a volte pure docile, ma anche imprevedibile e di pessimo carattere. Irrequieto e minaccioso a giorni, nel buio solo fragore, urlo assillante e cieco.

Non si augurerebbe certo di trovarsi su una barca adesso, in balia di onde gigantesche e di tutta quell’energia che sprigionano con le incursioni, le capriole, le scivolate, e il vento selvaggio che fischia fuori. Ulula così fastidioso che non può fare a meno di immaginarne la sua violenza mentre percuote, trascina via, ciò che trova sulla sua strada fino a risvegliare tutti i demoni del cielo. Ne è così impressionato che li sente vicini, e li vede pure.

Volano in tondo oltre la finestra, pipistrelli enormi con larghe ali distese come aquiloni al vento, inquieti e minacciosi.

Via - Via.” Grida agitato, alzandosi in piedi.

Si tappa le orecchie con le mani per coprire il rumore assordante che non riesce a sopportare. La sensazione è di un già vissuto, di un ripetersi che lo angoscia, l’afferra alla gola, e gli scorcia il fiato. Si accascia privo di forze sulla sedia di paglia, vicino al vecchio tavolo in legno.

Un forte ronzio nelle orecchie lo destabilizza, gli fa girare la testa. Farnetica parole senza controllo, e scivola in un breve stato confusionale, intrappolato in uno spazio senza tempo. Quando torna in sé vede le lancette dell’orologio al polso ferme, come congelate.

Quanto vorrebbe controllare quella sua mente che continua a tormentarlo con strane visioni e, di tanto in tanto, lo fa precipitare nell’oscurità!

Non ricordare come sia arrivato su quelle coste… da quanto tempo… e non spiegarsi il perché si trovi lì, sono i motivi che lo tormentano nei brevi momenti di lucidità. Lo inquieta interrogare la memoria e sfogliare pagine bianche, trovarsi davanti a una trama sfilacciata, piena di interruzioni e di fili spezzati che nessuno potrà rimettere insieme.

È come guardarsi allo specchio e non riconoscersi, cercare il passato e non trovarlo, ed essere assalito dal dubbio di non aver vissuto.

Per fortuna c’è l’isola con i suoi ritmi, come i movimenti del cielo, le rotazioni del giorno e della notte. In loro legge promesse rassicuranti, trova stadi di profondo benessere che lo aiutano a sentirsi in pace con la sua anima tormentata.


***


Avvolta da una vegetazione rigogliosa, l’isola è una piccola oasi disabitata fuori da itinerari turistici ma l’uomo non si sente isolato. Sull’isola tutto è presenza, compagnia rassicurante e silenziosa, incroci di aromi amabili mai conosciuti prima. La sua voce, è un concerto diffuso di violini, una melodia che copre l’eco delle sue ansie e ammutolisce le voci della mente… E lui sente di amarla quell’isola come forse non ha mai amato una donna. Lei non tradisce, non abbandona, è sempre presente quando ne ha bisogno.

Alla fine è questo che conta, sapere che c’è per lui, con le sue tacite intese, con quel suo panorama, da nord a sud: una distesa azzurra uniforme che pare confondersi con il cielo e poggioli ricoperti di muschio e freschi fili d’erba, la natura che respira e gli parla del senso della vita.

Raccontare all’asino trovato sull’isola lo distrae, lo fa sentire al centro di quel piccolo universo bucolico. Cosa poi dica, certe volte neanche lui sa bene, lo fa per non dimenticare il tono della sua voce, e dare vita a storie che la povera bestia non può capire.

Altre volte disteso sull’erba, sprofondato e abbandonato a uno spazio privo di pensieri, si acquatta in un mondo senza confini e prende ad ascoltare la voce dei suoi respiri. Allora lo raggiunge una pace quieta e accomodante. In uno stato d’animo di piacevole leggerezza è colto dalla sensazione di trovarsi sulla distesa azzurra portato dalla corrente e a quel punto ha la visione: di un pontile, di bambini che corrono nell’erba, e aquiloni variopinti volare nel cielo, delle volte è una casetta gialla e il volto di una donna alla finestra, giovane e bella, con lunghi capelli neri che le incorniciano il viso sorridente e rubicondo. Scene di un attimo, che si ridimensionano rapidamente in immagini sfuocate lontane, così lontane, da farlo dubitare siano mai state.


***


Gli fanno compagnia quell’asinello dal pelo spelacchiato, vecchio e malandato e i gabbiani che, sono dappertutto, volando, garrendo tutto il giorno. Scendono a gruppi, per niente intimoriti; con piglio regale camminano sull’erba e, ormai abituati alla sua presenza, gli passeggiano vicino.

Non sa bene dove abbiano i nidi, dove trovino pace, ma non gli importa. È solo interessato alla loro presenza e all’assidua compagnia, affascinato dalle candide ali che abbracciano l’aria e disegnano invisibili sentieri nel vento, come è attratto dalla leggerezza con cui sfiorano l’acqua e risalgono con il cibo.

Disteso sull’erba, con il tepore del sole che gli bacia la pelle, e il suono del movimento dell’acque sottostanti nelle orecchie, si lascia andare a una piacevole sensazione di trasporto. Prende a seguire le nubi sfilare in cielo, bianche, candide, ne studia le forme e si perde a fantasticare sui movimenti dell’elegante volo dei gabbiani.

Vorrebbe tanto affrontare il vento come loro.

Sull’isola c’è solo un faro, una costruzione grigia e vecchia che svetta sul poggiolo più elevato, un tempo in uso e abitato.

Su un diario, che ha rinvenuto in uno degli alloggi dei guardiani, si racconta di quell’epoca e di un piroscafo che ancorava all’isola ogni quindici giorni portando viveri, giornali e il personale per il cambio turno.

In uno scantinato annesso, in una specie di stanza senza finestre, chiusa da una vecchia porta in legno, ha rinvenuto ancora delle patate, farine e scatolame vario e si è convinto che prima o poi qualcuno tornerà a prendere quella roba, e lo aiuterà a lasciare l’isola. Ma sono solo certezze e pensieri senza consistenza.

A tratti, purtroppo, si direbbe chiuso in una bolla, un po’ come se fluttuasse in aria avvolto dalla nebbia, in cerca di un mutare, di una dimensione meno scomoda, a impedire al suo corpo di andare contro vento, e di lasciare a terra la mente con gran parte dei ricordi.

Forse un tempo è stato un marinaio. Ha avuto una famiglia, una casa, forse un cane, o forse no, è così tutto vago e nebuloso.


***


Ciao papà. Come stai oggi?”

L’uomo, distolto dai suoi pensieri, alla vista della donna entra in confusione. Non la riconosce e prova a cercare nelle pagine della sua memoria, ma per quanto si dia da fare, e si metta a navigare a vista, è un ritrovarsi in mezzo al fortunale, su un mare tenebroso, in balia dei marosi, senza alcun punto di riferimento, come fosse un guscio in mezzo all’oceano sconfinato, scombussolato dal rollio delle onde. Inquieto, spaesato.

Un viaggiatore senza passato e senza meta, si direbbe… che non veda l’orizzonte. Così, in questa estraneità disarmante, gira lo sguardo altrove.

Meglio tornare all’isola… ai gabbiani… Al bellissimo mare… a quel suo odore, un mix di salato, frizzante e retrogusto di alghe. Lo sente ancora nelle narici, ed è qualcosa che gli appaga i sensi.

L’uomo non è particolarmente vecchio, ma il tempo inclemente ha fatto un cattivo lavoro su di lui, accanendosi soprattutto con la sua memoria.


***


Papà, sono Luisa, tua figlia, mi senti?”

La voce lo richiama al presente. Controvoglia e con lentezza, riprende contatto con l’ambiente circostante. Gira gli occhi attorno. È seduto su una poltrona di stoffa grigia a disegni geometrici rosa, la stanza, dalle pareti bianche, è anonima, fredda, e c’è quella donna bionda che gli sta sorridendo. Tutto gli è estraneo.

Ha l'impressione di avere gli occhi appannati, e prova a passarci una mano sopra. Li sfrega, li contrae, cerca di mettere a fuoco la figura. Prende gli occhiali dal comodino e li infila.

Ora va meglio, la vede bene. Nota i suoi occhi, splendidi e azzurri come due acquemarine, la fossetta sul mento, e il sorriso molto dolce. Indossa un abitino leggero a fiori, è piccoletta, e di corporatura esile o perlomeno lui la vede così: una giovane donna, carina.

Qualcosa in quello sguardo non gli è del tutto estraneo, ma nuovamente eccola: la sensazione di vuoto e di buio. Nella memoria non c’è luce, né una lampadina da accendere.

Si dice di non conoscerla.

Una figlia? Lui non ha mai avuto una figlia, altrimenti lo ricorderebbe. E la stanza… be’, quella stanza non gli piace proprio, lo fa sentire a disagio. Prende a muoversi sulla poltrona per cercare una posizione più comoda. Ha caldo, prova a sganciare il primo bottone della camicia, ma non riesce a farlo.

Tutto sommato stava meglio prima.

Chiude gli occhi, si sente esposto agli umori altrui, e perde le sue sicurezze. Per sopravvivere ha bisogno della sua isola, lei è la sua oasi segreta.

Vorrebbe parlare del suo disagio, magari anche gridarlo, ma la bocca è secca, e contrae le labbra in una smorfia di disappunto mentre la sua isola fugge, va, e nessun pensiero riesce più a ritrovarla.

Apre di nuovo gli occhi, c’è silenzio nella stanza, ma la sconosciuta è ancora lì, è davanti a lui, e non sembra preoccuparsi del suo mutismo. Decide di non risponderle, tanto non capirebbe. È sua la colpa se non trova più l’isola.

Volge lo sguardo accigliato verso la finestra aperta: fuori il sole splende luminoso, il cielo è una distesa di mare azzurro. Nessun gabbiano in giro, solo passerotti che svolazzano, e cinguettano festosi, e c’è pure un grande giardino con piante di betulle e lillà in fiore, cespugli di rose rosse e gialle. Certo non è proprio come sulla sua isola, ma tutto sommato non è male. Pare ci sia anche silenzio e quiete.

Uno stato d’animo più sereno si fa strada in lui, la tensione, che gli irrigidiva le spalle, allenta la presa, e si allontana. Si passa una mano sulla barba corta e bianca che gli incornicia il viso e, con pollice e indice, se la accarezza.

L'esterno ha una visione che gli piace, gli trasmette tranquillità e l’idea dell'isola perde definitivamente consistenza. Altre immagini, altri pensieri stanno attirando la sua attenzione ora e dal suo volto, pian piano, sfumano i segni della contrarietà.

È primavera, ma lui non ha ben presente la stagione, o quale giorno della settimana sia. Il tempo non ha più significato e importanza. Distingue solo i suoi bisogni primari e adesso questi gli stanno dicendo che potrebbe uscire a fare una passeggiata.

Ruota lo sguardo verso la sconosciuta, vorrebbe sorriderle, ma riesce solo a contrarre le labbra in una smorfia. Nel frattempo la giovane ha avvicinato una sedia alla sua poltrona e gli si è seduta vicino. Prende la mano dell'anziano tra le sue e l’accarezza. Il contatto è piacevole e l’uomo la lascia fare.

Ora sente di essere pronto ad ascoltarla.

Prima lei se va - pensa - e prima potrò uscire.”


Stefania Pellegrini.

Nessun commento:

Posta un commento