venerdì 10 dicembre 2021

Una scomoda verità

 


Buona lettura



Apre gli occhi infastidita, guarda la sveglia sul comodino, sono le sette e trenta. Ha dimenticato di chiudere le tapparelle, come fa ogni sera, e la luce del giorno sta entrando con insistenza dai vetri della finestra. Ha la sensazione di non aver dormito. La testa le fa male, è come fosse avvolta dentro un involucro d’ovatta e qualcosa le premesse sopra.
Ha trascorso la notte in una specie di dormiveglia, raggiungendo il sonno profondo solo alle prime ore dell’alba. Sente la bocca impastata, le gambe dolenti, e gli occhi gonfi e pesanti. Allunga una mano all'altra parte del letto, è vuota e il cuscino intatto. D’improvviso tutti i pensieri, gli accadimenti del giorno prima, prendono a materializzarsi nella mente. Sono ingombranti, e dolorosi. Vorrebbe alzarsi e farli scivolare via mentre spazzola i capelli, ma sa che è un desiderio irrealizzabile, più niente tornerà come prima. Si gira tra le lenzuola, si rigira, ma il sonno l’ha ormai abbandonata, e si alza dal letto. Va in bagno, si lava più volte la faccia con l’acqua fredda, ma non si sente meglio. È decisamente a pezzi, con ogni cellula del corpo indolenzita e sofferente e quel mal di testa adesso è un chiodo che le preme sulle tempie.

“Mi dispiace, Clara, ci ho provato ma nella menzogna non riuscivo ad andare avanti. Dovevo dirtelo.”

Queste, le precise parole di suo marito, ieri, a colazione. Lei sta prendendo il latte dal frigo, sente la voce raggiungerla da dietro, come rumore di disco rotto, poi non capisce più niente, il cartone le cade dalle mani e il latte si rovescia sul pavimento. Il respiro di lui è vicino, troppo vicino, invadente e fastidioso. Suo marito è dietro di lei e sta cercando di rincuorarla poggiandole le mani sulle spalle. Ricorda di essersi divincolata e di aver cercato una sedia per sedersi, tutto in quell’istante ha preso a girarle attorno. Sente un forte bisogno di chiudersi le orecchie e fuggire, ma rimane lì seduta, incapace di muoversi e di guardarlo in faccia. Improvvisamente i dieci anni di matrimonio le passano davanti come in un film a colori, tra luci e ombre, poche, del passato, e si sente sommersa da un disagio fastidioso, e dalla sensazione scomoda di averli vissuti nella falsità.

Uno squillo di telefono, poi due, tre… lo lascia suonare. Nessuno dovrebbe cercarla oggi, è domenica. Certamente è sua madre dal paese, che vuol sapere la data del loro arrivo. Pensa alle vacanze al mare, al volto dei genitori e dei fratelli che non vede da quasi un anno, alla voglia di riabbracciarli e di condividere quindici giorni di relax e di sole, spensierati e piacevoli come ogni anno, e ora non ci saranno più. Una punta di amarezza le sale in bocca, non risponde e s’avvicina alla macchinetta per prepararsi un caffè. Il malessere di ieri è ancora presente, e ha come una sensazione di nodo in gola che non riesce a mandare giù.

Troverà mai il coraggio di dire a sua madre la verità? Fa fatica lei stessa ad accettarla.

Giovanni è sempre stato un marito dolce e paziente, l’uomo che le amiche le hanno sempre invidiato, capace di ascoltare i suoi sfoghi di lavoro, di condividere i suoi interessi, di consigliarla e amarla teneramente. Di aspetto attraente, è alto con un fisico asciutto, benché non abbia mai fatto niente per mantenersi in forma. Ha occhi verdi e uno sguardo dolce. Per strada le capitava, spesso, di cogliere lo sguardo di altre donne soffermarsi su di lui. Ma non le dava fastidio, né provava gelosia, anzi ne era orgogliosa, perché quell’uomo che le altre guardavano era suo, e tutto per lei. Ama con tutta l’anima suo marito e sarebbe stata in grado anche di perdonarle qualche scappatella, qualora ce ne fossero state.

Quello però che le si chiede oggi, è di tutt’altra specie e certamente di non facile comprensione. Si erano giurati sempre lealtà e sincerità, ma ora è l’inganno che le brucia, la falsità in cui hanno convissuto per anni.

“Non l’ho cercato, è accaduto. Perdonami, non avrei mai voluto ferirti, ma capisci che non potevo più nascondertelo, ora che l’ho capito.”

“Ti amo Clara, ti amo ancora e non so come sia potuto succedere, ma ho una relazione sentimentale con un altro uomo.” - Le ha rivelato con ingenuità ieri.
Parole che sono state per lei, letteralmente una doccia fredda. A suo marito piacciono gli uomini… possibile? Possibile che in dieci anni non abbia mai notato stranezze nel suo comportamento? Più ci pensa meno trova una risposta.
Forse non è così. Come può amare lei e allo stesso tempo un uomo? Rivede per un attimo il suo volto, gli occhi sempre luminosi, sente le sue mani posarsi con dolcezza sul volto, le sue carezze, e un brivido le corre lungo la schiena.

Forse si sbaglia… Ma sì certo, è così. Si avvicina alla finestra del soggiorno e guarda sotto le macchine parcheggiate vicino al marciapiede.
La ferita aperta fa troppo male, dovrà passarne di tempo, prima che si possa richiudere, meglio provare a non guardare in faccia la realtà e a illudersi che tutto possa tornare come prima.
Presto sentirà la chiave girare nella porta e lo vedrà andarle incontro. Le dirà che si è sbagliato e si è trattato solo di un momento di sbandamento. Poi le chiederà perdono e la stringerà teneramente a sé, con la stessa dolcezza di sempre.

Stefania Pellegrini©

DIRITTI RISERVATI



giovedì 25 novembre 2021

25 novembre - Giornata di denuncia e di ricordo.

Oggi, "Giornata contro la violenza sulle donne" ripropongo un mio testo, pubblicato nel settembre del 2018.

La sposa bambina


Buona lettura

Quattordici anni, poco più che una bambina, era Mirela, ingenua e sognatrice come tante sue coetanee, quando fu venduta a uno sconosciuto, un uomo di dodici anni più grande.
Capelli scuri, occhi verdi, piccola, fattezze sottili e fragili, mostrava sul corpo i segni di un acerbo sviluppo. Ma il padre aveva già scelto, per lei, quello sarebbe stato il suo promesso sposo.
In Albania accadeva, faceva parte delle loro tradizioni. Le giovani non avevano altra scelta che accettarle e dire precocemente addio al loro mondo fantastico, alle complicità, alle feste allegre e spensierate con le amiche.
Mirela, da quel preciso momento, deve smettere di andare a scuola, è obbligata a rimanere in casa e a imparare i lavori.
La mamma le dice: “Adesso sarà lui a pensare a te, a proteggerti, fai quello che ti chiederà e tutto andrà bene”.
A Mirela piace andare a scuola, imparare cose nuove, controvoglia rinuncia a tutto, anche alle confidenze delle amiche, e rimane chiusa in casa. Si fida della mamma e pian piano si convince che sia la cosa giusta.  Poco più che quindicenne sposa quell'uomo. Lui la sottomette, da subito, la domina, la possiede come una sua proprietà.
Mirela si trova presto a subire i suoi maltrattamenti, a piegarsi in silenzio. Se non sono schiaffi, capelli strappati, occhi neri, sono serrature a doppia mandata che non permettono di uscire, o violenze psicologiche per un piatto insipido o una dimenticanza. Non le viene permesso di pensare con la propria testa, e non è sfiorata neanche dall'idea di ribellarsi, né di considerare la parola violenza.
“E' tutto normale, si dice, non sono brava a cucinare o a fare le pulizie, non sono una buona donna di casa. Lui ha ragione ad arrabbiarsi. Devo stare più attenta”.
Ma le botte, le vessazioni non cessano. Il marito è furbo, non va mai oltre il limite, anche i lividi, che compaiono su parti del corpo non visibili, durano appena lo spazio di qualche giorno.

Mirela vive nel terrore, rumori poco più forti la fanno trasalire, la mettono in allarme. Lo vede con il suo sguardo minaccioso, dappertutto. Lo immagina mentre batte il pugno sul tavolo, e lo rovescia, o mentre le dà uno schiaffo. E anche quando lui è al lavoro, s'aggira per la casa, in punta di piedi, e ha paura di fare rumore.
Nasce Jorgo, e poi Ariela, con i figli la situazione non cambia. La felicità che prova per le loro nascite viene, da subito, offuscata dall'ombra pressante del marito che con la sua forza la piega, la sfianca ogni giorno.

Finché, qualcosa, un cambiamento si intromette nella sua vita squallida e Mirela comincia a sperare in un po' di serenità. Il marito lascia l'Albania per emigrare in Italia e lei rimane con i bambini a Tirana dai suoceri, in attesa di un visto per l'espatrio. Quello sarà per lei un periodo tranquillo, che le farà ritrovare il sorriso, e sognare di poter vedere la luce in fondo al tunnel. Prende a illudersi, a immaginare che, con la tranquillità di una casa accogliente in Italia, le violenze cesseranno.
Via dall'Albania tutto sarà diverso... Fantastica di tornare a scuola... di avere un po' di autonomia... di trovare un po' di pace.
Arriva il visto per il ricongiungimento e parte per Milano.
Ma in Italia Mirela trova una realtà molto lontana dai suoi sogni, scopre di essere una clandestina.

Il marito ha messo a carico del suo permesso di soggiorno i bambini, e ricatta lei quotidianamente, perché non ha i documenti in regola.
Ogni giorno Mirela deve fare in modo che sulla tavola non manchi il vino, che la casa sia pulita, i bambini silenziosi quando il marito è in casa. Non può parlare, non può ribellarsi.
Ancora non contento delle umiliazioni a cui la sottopone, lui pretende che si cerchi un lavoro a ore come donna delle pulizie, mentre i bambini sono a scuola, ed esige gli siano consegnati i soldi dei suoi lavori, altrimenti sono botte.
Mirela si sente un oggetto, è costantemente sotto ricatto, lui non la rispetta come donna, né come madre. Eppure, anche così, le è difficile convincersi di essere una vittima.
Un giorno però, lui, oltrepassa il limite, minaccia il figlio Jorgo che si è messo in mezzo a una lite per difenderla.
In Mirella scatta la scintilla, comincia a temere per la vita dei figli, capisce di dover fare qualcosa, non può più permettersi di stare a guardare, di subire. La prossima volta potrebbe andare peggio.

E' terrorizzata. Consapevole del rischio che corre sprovvista di ogni documento, teme che un passo in un'altra direzione possa portarle via i bambini. Piange, ha paura, è in una situazione difficile, ma non si lascia abbattere. Trova il coraggio di chiedere, informarsi, e con l'aiuto di alcune amiche italiane sporge denuncia ai carabinieri.


Io mi fermo qui, evito di andare avanti. Il racconto rielaborato dalla mia fantasia si ispira a una storia vera, tratta dal settimanale "l'Espresso" del mese di Luglio. Mi è piaciuto raccontarla per ricordare che per una donna che riesce a uscirne, ce ne sono molte altre nell'ombra, che non riusciranno a farcela, purtroppo. 

La vera storia va avanti:

La donna incontra un bravo maresciallo dei carabinieri che, dopo un attento esame della situazione, la indirizza alla sede dell'Associazione “Differenza Donna” e lì, con l'aiuto di persone informate e di un avvocato, riesce, dopo un lungo procedimento penale, a riprendere in mano la sua vita e a tenersi i figli.
Ancora oggi, in molti paesi più decentrati dell'Albania è la famiglia a promettere in sposa la figlia, poco più che bambina, a un uomo di molti anni più grande.
L'Associazione Differenza Donna, come molte altre in tutta Italia, è nata proprio per far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza di genere grazie alle competenze specifiche delle socie: psicologhe, medici, educatrici, sociologhe, avvocate, giornaliste ecc. ecc.
E' un punto di riferimento importante per le donne che si trovano in situazioni difficili.

Stefania Pellegrini ©