giovedì 25 novembre 2021

25 novembre - Giornata di denuncia e di ricordo.

Oggi, "Giornata contro la violenza sulle donne" ripropongo un mio testo, pubblicato nel settembre del 2018.

La sposa bambina


Buona lettura

Quattordici anni, poco più che una bambina, era Mirela, ingenua e sognatrice come tante sue coetanee, quando fu venduta a uno sconosciuto, un uomo di dodici anni più grande.
Capelli scuri, occhi verdi, piccola, fattezze sottili e fragili, mostrava sul corpo i segni di un acerbo sviluppo. Ma il padre aveva già scelto, per lei, quello sarebbe stato il suo promesso sposo.
In Albania accadeva, faceva parte delle loro tradizioni. Le giovani non avevano altra scelta che accettarle e dire precocemente addio al loro mondo fantastico, alle complicità, alle feste allegre e spensierate con le amiche.
Mirela, da quel preciso momento, deve smettere di andare a scuola, è obbligata a rimanere in casa e a imparare i lavori.
La mamma le dice: “Adesso sarà lui a pensare a te, a proteggerti, fai quello che ti chiederà e tutto andrà bene”.
A Mirela piace andare a scuola, imparare cose nuove, controvoglia rinuncia a tutto, anche alle confidenze delle amiche, e rimane chiusa in casa. Si fida della mamma e pian piano si convince che sia la cosa giusta.  Poco più che quindicenne sposa quell'uomo. Lui la sottomette, da subito, la domina, la possiede come una sua proprietà.
Mirela si trova presto a subire i suoi maltrattamenti, a piegarsi in silenzio. Se non sono schiaffi, capelli strappati, occhi neri, sono serrature a doppia mandata che non permettono di uscire, o violenze psicologiche per un piatto insipido o una dimenticanza. Non le viene permesso di pensare con la propria testa, e non è sfiorata neanche dall'idea di ribellarsi, né di considerare la parola violenza.
“E' tutto normale, si dice, non sono brava a cucinare o a fare le pulizie, non sono una buona donna di casa. Lui ha ragione ad arrabbiarsi. Devo stare più attenta”.
Ma le botte, le vessazioni non cessano. Il marito è furbo, non va mai oltre il limite, anche i lividi, che compaiono su parti del corpo non visibili, durano appena lo spazio di qualche giorno.

Mirela vive nel terrore, rumori poco più forti la fanno trasalire, la mettono in allarme. Lo vede con il suo sguardo minaccioso, dappertutto. Lo immagina mentre batte il pugno sul tavolo, e lo rovescia, o mentre le dà uno schiaffo. E anche quando lui è al lavoro, s'aggira per la casa, in punta di piedi, e ha paura di fare rumore.
Nasce Jorgo, e poi Ariela, con i figli la situazione non cambia. La felicità che prova per le loro nascite viene, da subito, offuscata dall'ombra pressante del marito che con la sua forza la piega, la sfianca ogni giorno.

Finché, qualcosa, un cambiamento si intromette nella sua vita squallida e Mirela comincia a sperare in un po' di serenità. Il marito lascia l'Albania per emigrare in Italia e lei rimane con i bambini a Tirana dai suoceri, in attesa di un visto per l'espatrio. Quello sarà per lei un periodo tranquillo, che le farà ritrovare il sorriso, e sognare di poter vedere la luce in fondo al tunnel. Prende a illudersi, a immaginare che, con la tranquillità di una casa accogliente in Italia, le violenze cesseranno.
Via dall'Albania tutto sarà diverso... Fantastica di tornare a scuola... di avere un po' di autonomia... di trovare un po' di pace.
Arriva il visto per il ricongiungimento e parte per Milano.
Ma in Italia Mirela trova una realtà molto lontana dai suoi sogni, scopre di essere una clandestina.

Il marito ha messo a carico del suo permesso di soggiorno i bambini, e ricatta lei quotidianamente, perché non ha i documenti in regola.
Ogni giorno Mirela deve fare in modo che sulla tavola non manchi il vino, che la casa sia pulita, i bambini silenziosi quando il marito è in casa. Non può parlare, non può ribellarsi.
Ancora non contento delle umiliazioni a cui la sottopone, lui pretende che si cerchi un lavoro a ore come donna delle pulizie, mentre i bambini sono a scuola, ed esige gli siano consegnati i soldi dei suoi lavori, altrimenti sono botte.
Mirela si sente un oggetto, è costantemente sotto ricatto, lui non la rispetta come donna, né come madre. Eppure, anche così, le è difficile convincersi di essere una vittima.
Un giorno però, lui, oltrepassa il limite, minaccia il figlio Jorgo che si è messo in mezzo a una lite per difenderla.
In Mirella scatta la scintilla, comincia a temere per la vita dei figli, capisce di dover fare qualcosa, non può più permettersi di stare a guardare, di subire. La prossima volta potrebbe andare peggio.

E' terrorizzata. Consapevole del rischio che corre sprovvista di ogni documento, teme che un passo in un'altra direzione possa portarle via i bambini. Piange, ha paura, è in una situazione difficile, ma non si lascia abbattere. Trova il coraggio di chiedere, informarsi, e con l'aiuto di alcune amiche italiane sporge denuncia ai carabinieri.


Io mi fermo qui, evito di andare avanti. Il racconto rielaborato dalla mia fantasia si ispira a una storia vera, tratta dal settimanale "l'Espresso" del mese di Luglio. Mi è piaciuto raccontarla per ricordare che per una donna che riesce a uscirne, ce ne sono molte altre nell'ombra, che non riusciranno a farcela, purtroppo. 

La vera storia va avanti:

La donna incontra un bravo maresciallo dei carabinieri che, dopo un attento esame della situazione, la indirizza alla sede dell'Associazione “Differenza Donna” e lì, con l'aiuto di persone informate e di un avvocato, riesce, dopo un lungo procedimento penale, a riprendere in mano la sua vita e a tenersi i figli.
Ancora oggi, in molti paesi più decentrati dell'Albania è la famiglia a promettere in sposa la figlia, poco più che bambina, a un uomo di molti anni più grande.
L'Associazione Differenza Donna, come molte altre in tutta Italia, è nata proprio per far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza di genere grazie alle competenze specifiche delle socie: psicologhe, medici, educatrici, sociologhe, avvocate, giornaliste ecc. ecc.
E' un punto di riferimento importante per le donne che si trovano in situazioni difficili.

Stefania Pellegrini ©

2 commenti:

  1. Che bella la tua storia Stefania, bravissima!
    Questa ha un felice riepilogo ma come scrivi anche tu non tutte finiscono allo stesso modo. Difficile reagire e trovare il coraggio per denunciare.
    Tutto ciò deve cambiare al più presto. Speriamo.
    Grazie!

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  2. Bella storia Stefania, per sfortuna nella realtà queste storie finiscono spesso male, purtroppo. Ora con la pandemia le violenze sulle donne purtroppo sono fortemente aumentate, invece di diminuire o finire del tutto. Purtroppo questo Covid credo che sia andata fino al cervello di troppe persone, che pur non essendo malate (positive al virus) sembrano essere davvero senza alcun controllo. Buona continuazione di mese di dicembre

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