venerdì 20 novembre 2020

Visioni e riflessioni ai tempi di Lockdown

- A volte solo nel silenzio che circonda 
ricordiamo e ritroviamo ciò che siamo -
 
Era arrivato così, quel virus... dal nulla... pareva... con tante domande, nessuna risposta... 
senza preavviso... uno tsunami...
in silenzio, subdolo, s'era propagato... 
gennaio... febbraio?  Forse... 
Non c'è certezza...
 

Ai primi di marzo la situazione veniva dipinta tragica:
Ospedali saturi… 
numeri dei ricoverati in salita,  giorno dopo giorno… 
percentuali impressionanti dei deceduti… 
Eravamo preoccupati, in parte spaventati, impreparati. 
Siamo stati chiamati a modificare le nostre abitudini per contenere il contagio.
Ci hanno chiesto, imposto più precisamente, di rimanere in casa, di rinunciare a gestire la nostra vita in libertà e l’abbiamo fatto, con riluttanza in certi casi, ma l’abbiamo fatto.  
“Usciremo dalla crisi più forti di prima”
si sentiva dire e abbiamo dato vita a un corale messaggio di vicinanza, un invito alla speranza. 
 
"... Guardare di più il cielo,/tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta/il pane. Guardare bene una faccia. Cantare/piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta/stringere con la mano un’altra mano/sentire forte l’intesa. Che siamo insieme./Un organismo solo. Tutta la specie/la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo..." 9 marzo 2020 - Mariangela Gualtieri

Mantra collettivi dovevano servire a darci fiducia, ad aiutarci a sopravvivere a una tragedia planetaria, di cui non vi è traccia nella storia recente e di cui non si sa se, quando e come finirà.
Qualcuno ha pensato di appendere striscioni, dipinti di bambini, con la scritta: 
“Andrà tutto bene”.
Qualcun altro ha improvvisato concerti musicali all’aperto, sui balconi, sui tetti,
come un gioco contagioso di colori... suoni.
E si è creato un passa parola per un impegno generale a colmare quella lontananza che ci divideva. 
Avevamo bisogno di fare sentire la nostra voce, di dire: ci siamo e siamo tanti… divisi… ma uniti con il cuore... 
siamo fratellanza... siamo amore... siamo forza... 
Esistiamo... resistiamo.
Ricordate questa canzone di Rino Gaetano rivista e cantata da 50 artisti riuniti a distanza?
Un insieme di voci che cantano la speranza di un dopo migliore.
 
 
Guardavamo al cielo, cercavamo quel blu... 
Provavamo ad essere forti... i nostri sacrifici sarebbero stati premiati: avremmo rivisto gli amici,  riabbracciato i nostri cari, camminato... corso all’aria aperta...
dato libero sfogo alla nostra voglia di vivere. 
Attesa... speranza... tristezza... dolore... ci muovevamo ogni giorno sull'altalena delle emozioni...
Abbiamo provato ad essere fiduciosi, sforzandoci di ignorare la vocina interna che parlava di paura,
nonostante le vittime, le tantissime vittime... 
la loro scomparsa in solitudine... la ferita che non trova margine...
l'assenza... il dolore...
quel dolore: profondo... incontenibile... 
A maggio quando i numeri, le percentuali sono scese, e siamo tornati alla nostra libertà, abbiamo provato a riprendere fiato, ossigeno… 
Eravamo fuori dalla bolla nociva… 
Tutto sarebbe tornato come prima… 
Anzi MEGLIO di prima, qualcuno sperava. 
 
“Tutto cambia, per nulla cambiare” 
dice Giuseppe Tommasi di Lampedusa nel suo "Gattopardo". E' passato più un di un secolo ma la frase è ancora applicabile, l’uomo non impara e dimentica in fretta. 
 
L’ESTATE, LA BELLA E CALDA STAGIONE 
ci ha fatto dimenticare che potevamo rientrare in quella bolla. Volevamo tornare a fare quello che facevamo le altre estati e abbiamo dato libero sfogo ai nostri desideri: abbiamo incontrato, abbracciato amici...
siamo andati in vacanza… 
ballato… 
fatto festa... 
dimenticato le precauzioni. 
Dimenticato dicevo, già... 
facile e comodo dimenticare... 
egoistico pure... 
ognuno ha pensato al suo quadratino di verde, e del resto non si è curato.
 
Così quello che ci eravamo augurati, illusi, che non succedesse, è successo: 
i numeri dei contagi, dei guariti, delle vittime, ha ripreso a salire vertiginosamente ed eccoci di nuovo obbligati a stare in casa... 
chiamati a rinunciare a quella ventata di libertà appena pregustata.
Siamo tornati a vivere giorni che molti ricorderanno a lungo: per il silenzio intorno a noi - le piazze deserte - i molti negozi con le serrande abbassate - il lavoro agile - le proteste di piazza ai divieti - i negazionisti - le fake news - le autocertificazioni e, purtroppo:
i bollettini giornalieri sul numero delle persone guarite, contagiate, decedute. 
Marzo... aprile... era primavera allora, la natura mostrava con orgoglio i peschi, i mandorli in fiore, i rossi civettuoli papaveri, strizzava l'occhio alla speranza con l'azzurro...  e l'ala dorata del sole...
Ora è novembre e siamo tornati a sentirci smarriti, indifesi, esposti a un nemico invisibile che continua ad alitare intorno a noi. 
Non c'è più voglia di soffermarsi a gioire per la bellezza dell'autunno... 
per la musica che il vento muove di foglia in foglia...
per i colori oro delle vigne... i vivaci affreschi dai toni screziati delle piante...
per le giornate ancora soleggiate.
 
La fragilità delle foglie ha investito tutti noi.  
 

I progetti... le ambizioni... e noi pure, stiamo in un limbo dove il futuro ha maglie sfilacciate appese a un indecifrabile... domani... 
nell'ansia... la paura crescente...  l'incertezza... l'opacità... 
la percezione ci rallenta, ci fa sentire sospesi. 
Non  si appendono più striscioni - né sentiamo cori sui balconi... abbiamo sperso la nostra identità dietro quelle mascherine bianche, azzurre... colorate fuori, che fanno sentire grigi dentro...  limitati...
lontani... sconosciuti... 
anche il vicino... si nasconde... dietro l'indecifrabile sorriso.

Pare tutto così assopito, rassegnato a un volere comandato dall’imprevedibile.
La vita non è controllabile, come non lo è questo virus maligno... 
ma non lasciamoci contagiare da questo mese lento e stanco che ci porta verso l'inverno. 
Non durerà per sempre...
Tornerà la primavera... 
l'orizzonte comparirà davanti a noi pieno di luce... di vita: 
ogni albero, ogni fiore, animale, si risveglierà -  
di inchiostro verde saranno ricoperti giardini, alberi e prati e noi saremo rigenerati da questa forza... 
e in quella fantasia, rigoglio di pitture, troveremo un altro colore per il grigio del cuore.  

Basterà non perdere punti di riferimento, perché la solitudine rende fragili... 

"... Adesso siamo a casa./È portentoso quello che succede./E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano./Forse ci sono doni./Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo./C’è un molto forte richiamo/della specie ora e come specie adesso/deve pensarsi ognuno. Un comune destino/ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene./O tutti quanti o nessuno..."  9 marzo 2020 - Mariangela Gualtieri

Ne verremo fuori!
 
 Claude Monet -  campo di fiori
 

Ho detto alla mia anima di aspettare
 
Ho detto alla mia anima di stare ferma, e di stare ad aspettare senza sperare.
Perché sperare sarebbe sperare la cosa sbagliata;
Di stare ad aspettare senza amore.
Perché l’amore sarebbe amore per la cosa sbagliata;
Ma resta ancora la fede.
Ma fede e amore e speranza sono tutte nell’attesa.
Aspetta senza pensare, perché non sei pronto per pensare.
E allora l’oscurità sarà luce, e l’immobilità danza.
 
T. S. Eliot 

lunedì 16 novembre 2020

Pandemie: Il racconto a confronto in letteratura

 

Il coronavirus, che sta preoccupando tutti noi da molti mesi, ha riportato nel nostro vocabolario parole minacciose come pandemia, epidemia, contagio, quarantena.
Ci sono tornate alla mente situazioni di avvenimenti lontani nel tempo studiati nei libri di scuola o in letteratura e credo sia venuto spontaneo ricercare similitudini tra l'attuale situazione e gli scoppi storici epidemici. 
Parlo di eventi tanto tragici quanto lontani nel nostro immaginario, come quelli della peste nera tra il 1347 e 1352, che devastò un quarto della popolazione europea, o come quelli dell’influenza spagnola, dei primi del novecento, che contagiò duecento milioni di persone.

Se andiamo a fondo, però, troviamo tracce di epidemie già nel 430 a.C. con il racconto che fa lo storico greco Tucidide sulla peste nera che colpì Atene.  

Vediamo insieme come gli scrittori raccontino le epidemie che hanno interessato la storia fin dall’antichità e come le vedano nell'immaginario.

Nella tragedia EDIPO RE, Sofocle descrive la pestilenza che colpì i cittadini di Tebe che implorarono l’aiuto del Re Edipo per bloccare una malattia che viene rappresentata come una punizione divina per l’assassinio del re Laio.

Proseguiamo con il racconto dello storico greco Tucidide, nel Libro II de LA GUERRA DEL PELOPONNESO che descrive gli effetti, devastanti e orribili sulla salute e sulla vita morale dei cittadini, della peste nera che colpì Atene nel 430 a.C 
 

"(…) i santuari in cui si erano accampati erano pieni di cadaveri, la gente moriva sul posto, poiché nell’infuriare dell’epidemia gli uomini, non sapendo che ne sarebbe stato di loro, divennero indifferenti alle leggi sacre come pure a quelle profane (…) ci si credeva in diritto di abbandonarsi a rapidi piaceri, volti alla soddisfazione dei sensi, ritenendo un bene effimero sia il proprio corpo sia il proprio danaro."

 Un’altra opera che non posso fare a meno di citare per il tema della peste, i contagi e le epidemie nel corso dei secoli è il DECAMERONE di Giovanni Boccaccio, opera nella quale la peste non rappresenta il tema della narrazione ma la sua cornice.
Si tratta del'epidemia che afflisse Firenze nel 1347 restando per cinque anni in tutta Europa.

“era con sì fatto spavento questa tribolazione entrata né petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello abbandonava il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e – che maggior cosa è e quasi non credibile? li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano”.


Chi non ricorda la peste che colpì Milano nel 1630 narrata da Alessandro Manzoni nei "I PROMESSI SPOSI"? 


"La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrare con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia" (cap. XXXI).

“L’epidemia si diffonde, la gente rimane scettica e si scaglia contro i medici. Si moltiplicano le morti e diviene impossibile negare l’esistenza del morbo, si parla però di fabbri pestilenti ciò induce a trascurare i pericoli del contagio. I malati trasportati al lazzaretto si fanno sempre più numerosi; così si parla finalmente di peste, ma si diffonde al tempo stesso l’idea che all’origine del male non vi sia il contatto con gli ammalati, ma bensì quello con ungenti velenosi.” (I Promessi Sposi capitolo XXXI)

Albert Camus nel suo romanzo LA PESTE, pubblicato nel 1947 ci racconta una peste immaginaria, per voce del protagonista Bernard Rieux, un medico francese alle prese, nella città algerina di Orano, con il flagello di un male che si propaga.
Un romanzo attuale, una metafora in cui il presente continua a riconoscersi.
 
“La peste aveva ricoperto ogni cosa: non vi erano più destini individuali, ma una storia collettiva, la peste, e dei sentimenti condivisi da tutti.”

"Bisogna sorvegliarsi senza tregua per non essere spinti, in un minuto di distrazione, a respirare sulla faccia di un altro e a trasmettergli il contagio. Il microbo, è cosa naturale. Il resto, la salute, l’integrità, la purezza, se lei vuole, sono un effetto della volontà e d’una volontà che non si deve mai fermare. L’uomo onesto, colui che non infetta quasi nessuno, è colui che ha distrazioni il meno possibile (…) Tutti appaiono stanchi: tutti, oggi, si trovano un po’ appestati. Ma per questo alcuni che vogliono finire di esserlo, conoscono un culmine di stanchezza, di cui niente li libererà, se non la morte".

Avvicinandomi ai tempi nostri vorrei citare Josè Saramago con il suo romanzo "Cecità", uscito nel 1995. Narra di un’epidemia che contagia gli occhi, provocando appunto la perdita della vista. Questa terribile conseguenza fa sprofondare l’uomo nella cattiveria e lascia spazio all’istinto di sopravvivenza. L’epidemia è motivo di sciacallaggio, il cibo diventa rifugio ed ossessione.

“Probabilmente solo in un mondo di ciechi le cose saranno ciò che veramente sono”.

“La solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi.”

Una cecità che, per Saramago, appartiene spesso anche a chi ci vede:

"(…) “Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.”

 E ci ricorda che il confine tra vista e cecità è spesso labile. Il romanzo è chiaramente una metafora del mondo moderno. Un mondo violento, di sopraffazione ed egoismo, di lotta spietata alla sopravvivenza.

Per concludere cito un romanzo, uscito in Italia nel marzo 2020, dal titolo “Abisso” dello scrittore americano Dean Ray Koontz. In origine portava il titolo: “The eyes of darkness” ed era stato pubblicato nel 1981 . Il romanzo, ambientato nel 2020, racconta di un virus denominato Wuhan 400, creato dall’uomo in laboratorio, un virus che provoca una gravissima polmonite che dilagherà in tutto il mondo. Terrificanti sono le analogie con la situazione che stiamo vivendo. 

Mi fermo qui con l'elenco, sono diversi i testi su cui soffermarsi a riflettere per meglio comprendere il nostro tempo.
In queste opere, oltre al tema della paura della morte attraverso il contagio, ritroviamo le situazioni che si stanno creando anche con questa pandemia: quale la considerazione dell’altro come nemico e come untore, il tema dell’isolamento, le incertezze sul futuro, i ritmi della normalità e le consuetudini che vengono sconvolte, le povertà che crescono.
Ma anche il ritratto dell’animo umano di fronte all’imprevisto con i comportamenti emotivi e irrazionali delle masse, la ricerca di un capro espiatorio, e il complottismo.

"Nella storia umana e letteraria ciò che rende simili le pandemie non è la semplice comunanza di germi e virus ma che le nostre risposte iniziali sono sempre state le stesse" ha detto in un'intervista Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura nel 2016 e autore di "Nights of plague", un romanzo storico ambientato nel 1901, durante quella che è conosciuta come la terza pandemia di peste.

La risposta iniziale allo scoppio di una pandemia, secondo Pamuk, che ha studiato l’argomento per scrivere il suo romanzo, è sempre la negazione. I governi nazionali e locali sono sempre in ritardo nel rispondere. Distorcono i fatti, e manipolano le informazioni per negare l'esistenza dell'epidemia. Si creano voci e si diffondono false informazioni

Durante le pandemie passate, in una realtà senza giornali, radio, televisione o internet, la popolazione, in maggioranza analfabeta, aveva solo l'immaginazione, il sentito dire, per spiegarsi la situazione, per capire dove fosse il pericolo, e considerare la sua gravità. Eppure anche adesso con tutti i mezzi di informazione a nostra disposizione, gli atteggiamenti, nei confronti dell’epidemia, non sono cambiati. Le persone hanno bisogno di negare la situazione, e di spargere notizie false. Non provo ad analizzare le motivazioni, queste le lascio a voi, se vorrete.