Eccoci al consueto appuntamento del mese con un mio racconto. Oggi condivido con voi una storia ambientata nel periodo a ridosso della fine della seconda guerra mondiale. Si tratta di un breve racconto che avevo scritto per partecipare ad un concorso.
Buona lettura
I sogni non si scelgono, arrivano così per caso. Spesso strani, e all'apparenza senza senso.
Gina si sveglia in preda all'ansia. Sudata, scossa. Cerca di ricordare: “La bambina bionda... i capelli lunghi scompigliati, la corsa in mezzo al prato... Fuggiva, ricorda, da una nube di polvere e si volgeva a lei implorando aiuto. Sensazione strana di un déjà vu... il volto. Nella luce flebile del primo mattino sul comò lo intravede, uguale, nel dipinto.
La mamma giusto ieri la sollecitava:
“Siamo una famiglia onesta, fammi il favore Gina, restituisci la tela.”
“Sabato vai a Firenze! Prima la porti via, meglio è.”
Può avere uno valore, magari è solo affettivo, ma la madre non intende tenerla. La figlia ventiduenne invece, non riesce a privarsene.
La mamma giusto ieri la sollecitava:
“Siamo una famiglia onesta, fammi il favore Gina, restituisci la tela.”
“Sabato vai a Firenze! Prima la porti via, meglio è.”
Può avere uno valore, magari è solo affettivo, ma la madre non intende tenerla. La figlia ventiduenne invece, non riesce a privarsene.
Le piace quella tela rinvenuta dal fratellino nelle intercapedini di alcune assi di legno in un fienile, ormai in disuso. Dal tratto semplice, delicato, i colori leggeri, ma luminosi, è un acquarello raffigurante una bambina per mano a una donna in mezzo a un campo di fiori.
Stava arrotolato in due fogli di un giornale del 1943, all’interno un foglietto con un indirizzo, un nome: Sara Nossal.
Probabilità di rintracciare quella persona? Forse poche. La guerra tre anni prima, i campi di concentramento… i tanti non tornati dai lager… può essere finita là o, nella migliore delle ipotesi, aver cambiato indirizzo.
È cominciato tutto una sera, dopo il ritrovamento, mentre rimira il dipinto.
La figura della bimba sulla tela pare animarsi, si mette a correre. Corre in modo disordinato, fuggendo da qualcuno o qualcosa. Cade a terra, si rialza. Cade di nuovo, poi scompare.
Stava arrotolato in due fogli di un giornale del 1943, all’interno un foglietto con un indirizzo, un nome: Sara Nossal.
Probabilità di rintracciare quella persona? Forse poche. La guerra tre anni prima, i campi di concentramento… i tanti non tornati dai lager… può essere finita là o, nella migliore delle ipotesi, aver cambiato indirizzo.
È cominciato tutto una sera, dopo il ritrovamento, mentre rimira il dipinto.
La figura della bimba sulla tela pare animarsi, si mette a correre. Corre in modo disordinato, fuggendo da qualcuno o qualcosa. Cade a terra, si rialza. Cade di nuovo, poi scompare.
La visione è inquietante, Gina si sfrega gli occhi, pensa di avere le allucinazioni In subbuglio il cuore prende a battere all’impazzata, un’ansia inspiegabile la coglie da subito.
Cerca di non pensarci, ma gli episodi si ripetono e quando arriva il sogno Gina capisce di dover fare qualcosa. Pensieri s'accavallano nella mente, l'idea che gli episodi siano segnali di una mano sconosciuta la inquietano, ricaccia indietro la voce che s'agita dentro, le ombre che s'annidano fastidiose.
Al pomeriggio di ritorno dal lavoro, è decisa. Compra il biglietto della corriera per Firenze. La grande città un po’ la spaventa, ma la ragione la guida verso un unico pensiero, rintracciare Sara.
Firenze la coglie da subito spaesata: persone la urtano, passando frettolose, i piccioni in piazza del Duomo svolazzano attorno, le sfiorano i capelli.
Al pomeriggio di ritorno dal lavoro, è decisa. Compra il biglietto della corriera per Firenze. La grande città un po’ la spaventa, ma la ragione la guida verso un unico pensiero, rintracciare Sara.
Firenze la coglie da subito spaesata: persone la urtano, passando frettolose, i piccioni in piazza del Duomo svolazzano attorno, le sfiorano i capelli.
Ferma un passante per chiedere informazioni sull’indirizzo scritto, e raggiunge una casa signorile di fine '800.
Dall'anziana signora, che le apre la porta, riesce a sapere solo che la famiglia Nossal non abita più lì e l’indirizzo del negozio di un antiquario, loro lontano parente.
Anche se la sua testa le vorrebbe suggerire altro, Gina è fiduciosa e non si scoraggia, consapevole che ogni cosa richieda tempo e pazienza. L'antiquario è gentile, disponibile, su un biglietto da visita le annota un indirizzo.
Adagiato sopra campo di Marte, Settignano è un borghetto a nord-est di Firenze, su uno dei colli più affascinanti della città. Gina lo raggiunge con l'autobus.
Dall'anziana signora, che le apre la porta, riesce a sapere solo che la famiglia Nossal non abita più lì e l’indirizzo del negozio di un antiquario, loro lontano parente.
Anche se la sua testa le vorrebbe suggerire altro, Gina è fiduciosa e non si scoraggia, consapevole che ogni cosa richieda tempo e pazienza. L'antiquario è gentile, disponibile, su un biglietto da visita le annota un indirizzo.
Adagiato sopra campo di Marte, Settignano è un borghetto a nord-est di Firenze, su uno dei colli più affascinanti della città. Gina lo raggiunge con l'autobus.
Telemaco Signorini - La piazza di Settignano |
Il luogo è tranquillo, in mezzo al verde, circondato da campi coltivati. All'apparenza pare il suo paesello, se non fosse per certe belle ville, mai viste prima.
La casetta all'indirizzo in questione è un po' appartata, al fondo della piazza del borgo, deserta in quell'ora del primo pomeriggio. Vi si avvicina titubante, il sole occhieggia tra le nubi e pare sposarsi bene con il suo umore instabile.
Suona il campanello, s'aggiusta la gonna, i capelli. Il cuore in petto batte forte. All’improvviso non è più sicura di niente e vorrebbe tornare indietro.
Le apre la porta una donna ancora giovane, vestita con semplicità. Magra, il volto segnato, gli occhi tristi. Gina dimenticando i convenevoli esordisce: “La signora Sara Nossal?”.
L'altra sbianca in volto, poggia una mano sullo stipite della porta, si sorregge.
“Io mi chiamo Nora…” e s'affretta a farla accomodare in salotto.
“Mi scusi. Sa, nessuno pronunciava quel nome da molto tempo. Sara è la mia piccolina.” Deglutisce prima di proseguire.
Gina imbarazzata, spiega rapidamente il motivo della sua visita ed estrae la tela dalla borsa.
La donna fatica a trattenere la commozione, prende un fazzoletto nella tasca dell’abito, si asciuga le lacrime.
“Era brava, sa? In tutto, e aveva una bella voce.” Si soffia il naso.
“Mi diceva spesso: - Vorrei dipingere tutti i colori del mondo per cancellare il grigio delle paure. -”
“È stata lei a dipingere questo quadretto.”
“Quando a maggio del 1943 i soldati portano via mio marito, noi fuggiamo per raggiungere dei conoscenti in campagna, e portiamo il dipinto con noi. Ci sentiamo braccate. Giunte in quel fienile, Sara nasconde la tela, le prometto che torneremo a riprenderla, cessato il pericolo. Ma poche ore dopo, prendono anche noi per deportarci a Auschwitz.
Là ci dividono. Non l'ho più vista. Mi sono disperata, l'ho cercata... sono venuta a sapere delle docce… di donne, vecchi… bambini che non uscivano più da lì...
Pochi mesi prima della fine della guerra, una donna trasferita nella mia baracca, mi racconta di una bimba conosciuta nel giugno del 1943, morta di stenti dopo tre mesi. I tedeschi la facevano cantare nelle loro feste perché aveva una bella voce”
“Ho sperato fino all'ultimo che non fosse Sara.”
“È doloroso sopravvivere alla propria figlia, a giorni, insopportabile e le sono grata di avermelo riportato.
Suona il campanello, s'aggiusta la gonna, i capelli. Il cuore in petto batte forte. All’improvviso non è più sicura di niente e vorrebbe tornare indietro.
Le apre la porta una donna ancora giovane, vestita con semplicità. Magra, il volto segnato, gli occhi tristi. Gina dimenticando i convenevoli esordisce: “La signora Sara Nossal?”.
L'altra sbianca in volto, poggia una mano sullo stipite della porta, si sorregge.
“Io mi chiamo Nora…” e s'affretta a farla accomodare in salotto.
“Mi scusi. Sa, nessuno pronunciava quel nome da molto tempo. Sara è la mia piccolina.” Deglutisce prima di proseguire.
Gina imbarazzata, spiega rapidamente il motivo della sua visita ed estrae la tela dalla borsa.
La donna fatica a trattenere la commozione, prende un fazzoletto nella tasca dell’abito, si asciuga le lacrime.
“Era brava, sa? In tutto, e aveva una bella voce.” Si soffia il naso.
“Mi diceva spesso: - Vorrei dipingere tutti i colori del mondo per cancellare il grigio delle paure. -”
“È stata lei a dipingere questo quadretto.”
“Quando a maggio del 1943 i soldati portano via mio marito, noi fuggiamo per raggiungere dei conoscenti in campagna, e portiamo il dipinto con noi. Ci sentiamo braccate. Giunte in quel fienile, Sara nasconde la tela, le prometto che torneremo a riprenderla, cessato il pericolo. Ma poche ore dopo, prendono anche noi per deportarci a Auschwitz.
Là ci dividono. Non l'ho più vista. Mi sono disperata, l'ho cercata... sono venuta a sapere delle docce… di donne, vecchi… bambini che non uscivano più da lì...
Pochi mesi prima della fine della guerra, una donna trasferita nella mia baracca, mi racconta di una bimba conosciuta nel giugno del 1943, morta di stenti dopo tre mesi. I tedeschi la facevano cantare nelle loro feste perché aveva una bella voce”
“Ho sperato fino all'ultimo che non fosse Sara.”
“È doloroso sopravvivere alla propria figlia, a giorni, insopportabile e le sono grata di avermelo riportato.
Questo dipinto è tutto ciò che mi resta di lei.”
Stefania Pellegrini ©
Ogni diritto riservato
Cara Stefania, un libro che credo che tutti dovremmo leggere!!!
RispondiEliminaCiao e buona giornata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
Tomaso
Ciao Stefania, hai scritto un bellissimo racconto che mi ha commosso.
RispondiEliminaComplimenti e un abbraccio.
fulvio
Ciao Stefania, bellissimo questo piccolo racconto. Toccante. Complimenti ottimo lavoro. un saluto ed un abbraccio
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