lunedì 14 marzo 2022

Il prezzo di una scelta

Passi echeggiano nella memoria,
lungo il corridoio che mai prendemmo,
verso la porta che mai aprimmo.
(TS Eliot)



Alfred Sisley

Al bivio di due strade, qualunque sia la strada che sceglierai non pentirtene mai, in tutti i casi sarà quella giusta, perché tua la decisione.

Buona lettura

Sono un sognatore, un solitario, che ha trovato in una città di mare il luogo ideale per restare. Per tutti, invece, sono solo quello straniero, per qualcuno il vagabondo, che suscitò curiosità e chiacchiere nei bar, quando arrivò, in un giorno di primavera caldo e luminoso, con il suo zaino verde militare in spalla.

Forse perché andavo spesso in giro con un cappellino di lana blu su ricci capelli grigi corti, e una specie di spolverino verde leggero che portavo aperto sopra dei jeans neri. Eppure la mia barba brizzolata, pepe e sale, era curata e miei abiti puliti, senza patacche o strappi. Comunque i più, nell’arco di qualche mese, si abituarono alla mia presenza e presero a salutarmi bonariamente con una pacca sulle spalle.

Così, riuscii presto a sentirmi parte delle strade, del molo, del lungomare, come i gabbiani che da sempre frequentano questi luoghi. In fin dei conti sono un po’ come loro, sempre in cerca di me stesso, con la mente a disegnare nel vento sentieri immaginari, a cercare un azzurro che mi ricordi mondi lontani.

Mi piace aggirarmi per le vie della zona del porto, starmene seduto su una panchina o un muretto, e respirare l’odore forte e intenso di mare che sale dalle acque meditabonde o scrivere su un piccolo libretto che ho sempre con me. Oppure disteso su un prato mi perdo a osservare il viaggio delle nuvole in cielo, perché trovo divertente cercarvi un riferimento con cigni, elefanti, facce di gatti, o con qualsivoglia forma vivente.

A volte seguo i voli dei gabbiani, o il lavoro di un pescatore intento a riparare le reti, ma il mio sguardo è fortemente attratto dalla distesa blu che si stende al largo, da quella linea all’orizzonte che pare unire il mare al cielo.            

         Non sono, e non mi sento, proprio vecchio, non mi mancano i sogni, sono tanti e superano di gran lunga i rimpianti, ma di strada ne ho fatta, al punto da potermi definire un navigato, nel pieno senso della parola.

***

         Ho preso possesso di una piccola baracca in disuso, lungo le sponde del fiume, a nord – est della città. È in legno, in una zona di "Riserva di pesca".  Era seminascosta dalla vegetazione rigogliosa cresciuta attorno, e io ho rinforzato porta e finestre che davano segni di cedimento, strappato via le sterpaglie incolte e ricavato un piccolo orto a lato della casetta, dove coltivo piantine di insalata, pomodori e peperoni.

         Su quelle sponde piene di vita naturale, di luce, e di quiete, ho trovato la pace dell’anima che cercavo e, con i miei sogni a occhi aperti, mi sento in una specie di oasi, protetto da tutto e tutti, in compagnia di fantasie che esprimo in versi dove capita. Una passione, questa, coltivata nel corso degli anni, fattasi compagna attenta e generosa, cara e, ora nell’età matura, indispensabile come l’aria che respiro.

         Non ho mai scritto per gli altri, non mi è mai interessato. L’ho fatto, lo faccio, per esprimere le mie fragilità, perché tutti ne abbiamo di nascoste, di ignote e profonde, e per mettere il cuore a nudo e riconoscerne i suoi fremiti nascosti. La scrittura, per me, rappresenta il trasporto per volare lontano con la mente, il brivido della scoperta. Soprattutto è la voce con cui posso dare un senso al mio trascorrere e all’amore perduto, perché è come se non l’avessi mai lasciato.

***

         Così tanto tempo è passato che a volte mi sembra strano quanto quel ricordo passeggi ancora dentro di me e a volte mi dia tormento. Forse perché rappresenta il desiderio amoroso di una stagione, realizzato e poi perso. Di avventure ne ho da raccontare, eppure mai nessuna è riuscita a scardinare l’intensità di quella storia. Forse, la idealizzo, ma quando scrivo immagino, spesso, la mia amata fresca e giovane com’era un tempo, e ne rivedo i suoi occhi chiari come acquemarine, la dolce piega delle labbra rosee accennate a un sorriso. Sento ancora il profumo della sua pelle, l’emozione provata  nel carezzare le forme del suo corpo snelle e sinuose, quel giorno lontano.

         Una storia persa e finita così, come finiscono tante storie, sull’onda di qualche incomprensione forse, ma soprattutto per un moto di flutti incontrollabili, una smania, nata in testa che aveva finito per rendermi insofferente, convincendomi che stavo vivendo imprigionato in confini prestabiliti da altri, una vita così piatta e noiosa da non essere più tollerabile.

         Iniziai a sognare il viaggio, la voglia di esplorare, di scoprire, dopo aver letto una frase di Mark Twain, a riflettere sulle cose che non avrei potuto avere se fossi rimasto legato agli ormeggi di quel porto sicuro. Così, dopo indecisioni e sensi di colpa, lasciai la mia ragazza e m’imbarcai come mozzo su un mercantile… e non tanto per andare da qualche parte, quanto per il solo desiderio di andare. Non conoscevo mai il ritorno, perché alla fine di un viaggio ne iniziavo un altro e ancora un altro, sempre all’inseguimento di nuove avventure, e di quel senso di libertà che poteva darmi la possibilità di cercare, di sperimentare.

         Scoprii il fascino dell’orizzonte senza limiti, del percorso senza ritorno, delle notti a cielo aperto. Oh, quant’era bella quella vita semplice, e priva del superfluo che mi portò ad andare sempre avanti, a rincorrere qualcosa a cui, però, non seppi mai dare un nome e una spiegazione a me stesso. La sete di conoscenza non si placava mai, e mi faceva sentire sempre inappagato. Conobbi popoli di etnie diverse, imparai la semplicità… godetti ogni giorno della natura e di ciò che mi stava attorno… con delicatezza e timore riverenziale a volte… con trasporto, e stupide illusioni altre, m’abbandonai all’amore libero con il fuoco della passione del momento, donando, ricevendo, senza mai chiedere o aspettarmi qualcosa in cambio.

         Quando infine sentii di essere pronto a tornare, sbarcai e mi fermai in questa città di mare, lontana chilometri dalla casa di un tempo, perché in qualche modo il luogo si conciliava con la mia idea di libertà. Guardare le acque del fiume o del mare è ancora sognare nuove partenze, immaginare orizzonti regalarmi promesse.

***

         Due anni sono passati… sono ancora libero… libero di andare, libero di essere me stesso, senza condizionamenti o possibilità di nuocere agli altri, eppure, sono ancora qui, in questa città dove le persone hanno imparato a conoscere la mia riservatezza e a rispettarla. Forse quel giorno arriverà, forse quando si farà viva la noia, ma ora la città mi piace, d’estate poi, così vivace e ricca di sole e di vita… non la cambierei con tutti gli altri luoghi che ho visto. Ora la vita la vivo attraverso gli altri, mi piace osservare l’enorme tela piena di colori che mi s’aggira attorno, e trovare parole per descriverla.

Lo scorso anno, verso il mese di giugno, mi accorgo che lo scrivere non mi trasmette più quel senso di avventura che ho sempre provato, mi muovo tra le parole stanco, privo di energia: ho parlato di amore… di dolori… di ricordi… di incontri… ho taccuini, fazzoletti di carta, tovaglioli pieni di scritti e non so più dove metterli. Forse è solo per un desiderio nato dalla mia anima inquieta, ma capisco di aver bisogno di comunicare, di dare voce al mio silenzio, una svolta alla mia passione. Non mi basta più scrivere, devo condividere. Così mi faccio venire un’idea. È un’idea folle, lo so… e va un po’ contro il mio modo di essere e di pensare, ma mi faccio coraggio. Mi convinco. Condividerò i mei scritti… regalerò i miei sogni ad altre persone.

Dapprima, provo a lasciare in giro qualche biglietto ripiegato, a volte sul tavolino di un bar, su un muretto o sulle panchine del lungomare. È difficile per me superare i primi imbarazzi, ma ci provo, e ci riesco. Decido di mettere nelle mani dei passanti, spesso qualche turista, questo bigliettino contenente una poesia e qualcuno mi scambia, pure, per un vagabondo in cerca di elemosina e mi ritrovo una monetina in mano. Spesso, i passanti prendono il foglio di carta senza leggere e lo mettono in tasca, qualcuno rifiuta il gesto, pensando a un volantino pubblicitario, ma c’è sempre quello che apprezza e ringrazia.

Le persone che mi conoscono mi invitano sempre più spesso per un caffè e qualche chiacchiera al bar. Non faccio il prezioso, né lo scontroso e mi faccio coinvolgere volentieri. In fin dei conti ogni tanto c’è anche bisogno di uno scambio con gli altri. Ormai per tutti gli abitanti sono diventato lo scrittore, bonariamente salutato come il poeta.

***

Sul tardo pomeriggio di un giorno di luglio, sempre di quell’anno, incontro una donna di mezza età, che passeggia sul lungomare. È sola e mi avvicino per allungarle il solito foglietto, contiene una poesia d’amore di quelle scritte pensando ai tempi passati.

La donna, lo scoprirò poi, è in città per trovare la figlia sposata, e sta rientrando a casa.  Assorta nei propri pensieri, prende il pezzo di carta e lo mette in tasca senza leggerlo.

Nel ringraziarmi mi guarda negli occhi. Abbiamo solo il tempo di scambiarci uno sguardo, vedo che ha un attimo di indecisione, forse di sorpresa, ma allunga il passo, non mi lascia il tempo di dire una parola ed è già oltre.

Mi ha colpito qualcosa in lei, che non so spiegarmi, forse gli occhi azzurri, vivaci, sul volto rotondetto. Ho ancora l’imbarazzo dentro e, dico a me stesso, meglio così, cosa mai avresti potuto dirle? Ma non riesco a togliermela dalla testa. Non trovo alcun ricordo, eppure quella donna, i suoi occhi hanno un che di familiare.

M’incammino verso la solita panchina cercando di fare ordine nei miei ricordi, ma il pomeriggio è ancora decisamente caldo. Non sale un filo di vento dal mare, e anche i gabbiani sembrano aver trovato un altro luogo dove sostare. Decido di rientrare a casa. Voglio raccogliere l’insalata dall’orto e bagnare i pomodori.

Ho bisogno di pensare ad altro e poi devo scrivere, sento che è arrivato di nuovo il momento e non posso permettermi di lasciarlo andare. Il mattino dopo sono ancora preso dalla mia scrittura, ed è un’altra giornata infuocata. In casa, però, la temperatura è decisamente più accettabile, dal fiume giunge un venticello caldo, ma piacevole e resto in casa fino alle 17:00.

***

Il lungomare nel tardo pomeriggio è affollato: bambini che rientrano dalla spiaggia con i genitori, giovani donne che passeggiano, ragazzine con auricolari e cellulari in mano, qualche ragazzo in bicicletta, un giovane passa veloce sullo skateboard. Sono seduto al solito posto e osservo quel pullulare di gente, i loro sguardi, i colori vivaci che mi ronzano attorno. Sono decisamente rilassato, vedo sul mare al largo una nave passeggeri della Costa Crociere, pare ferma, forse ormeggiata e sono perso nei pensieri, nei ricordi dei miei viaggi sui bastimenti, quando sento chiamarmi per nome.

“Antonio!... Sei tu, vero?”

Mi volto sorpreso, nessuno in città mi conosce con quel nome. Giro lo sguardo verso la voce, e riconosco nel volto, sorridente di una donna, quello del giorno prima.

“Ieri non ne ero proprio sicura, ma avevi qualcosa di familiare… a casa ci ho ripensato e poi ho letto la poesia... l’hai scritta tu? Mi è piaciuta molto.” Mi interroga stupita.

Osservo meglio la donna, la riconosco e ho l’impressione immediata di entrare nei panni dismessi di un’altra vita… mi stanno larghi e sono consumati. L’effetto è strano, ma non spiacevole.

 Il cuore prende a battermi come impazzito, cerco di controllarmi, di non mostrare il turbamento.

Non deve capire… no.  Mi alzo in piedi, le do la mano. Non so se abbracciarla… sono imbarazzato… non oso. È lei a prendere l’iniziativa, a stringermi a sé con il trasporto di chi non vede un amico da molto tempo.

Riesco a ritrovare le parole: “Ciao Giulia, anch’io non ti avevo riconosciuta! Cosa ci fai qua?”

“Vieni sediamoci, così ti racconto, aggiunge lei, sono proprio contenta di vederti. Non lasciamoci sfuggire il momento.”

E Giulia racconta… racconta della figlia, del suo matrimonio e della vita trascorsa dopo il mio imbarco. Non c’è rancore nelle sue parole, non c’è sofferenza. Il ricordo della nostra storia ha trattenuto solo i momenti belli, e nei nostri occhi prendono a brillare i bagliori del crepuscolo di una stagione lontana.  

Anch’io parlo delle mie esperienze… avremmo tante cose da raccontarci, e bisogno di tempo che non abbiamo. Ci salutiamo con un ciao che potrebbe essere un arrivederci.  Io ritorno nel mio mondo, nella vita di adesso, lei nella sua. La guardo allontanarsi, il corpo non più snello, ma ancora gradevole, i capelli lunghi sulle spalle dolcemente mossi come spighe al vento, e una languida nostalgia sento sciogliersi in petto.

 Avevo chiuso una porta… il caso ha voluto che la riaprissi, ma solo per farmi riassaporare il suo odore e ora capisco che entrambi abbiamo scelto una strada diversa e non ci saranno mai incroci che ci potranno riportare insieme sulla stessa.

Stefania Pellegrini ©

Anno 2022 

 DIRITTI RISERVATI

venerdì 25 febbraio 2022

Il destino e la legge del Karma: riflessioni.


La cartomante (1856)- J.J.Baptiste Dehaussy -
Olio su tela -Milano, Collezione Fondazione Cariplo

Le cose nella vita ci accadono per caso o secondo un disegno prestabilito?

Qualche volta me lo sono chiesto, soprattutto quando mi sono trovata, di punto in bianco, in situazioni difficili, di quelle che non vedi via di uscita nell’immediato, e forse, solo perché non c’è.

Poi, però, mi sono detta: - Che bisogno c’è? Il fatto è accaduto e niente può riportarti indietro. Cara mia, non è che poi ti sentirai meglio o questo ti aiuterà a trovare la strada per uscire dal cunicolo buio in cui sei precipitata. Svegliati! Hai solo da aspettare passi la tempesta o animarti di energia per superarla, perché non puoi cambiare il vento. Prova magari a orientare meglio le vele –

Lo scrittore Haruki Murakami scrive: … Il vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia.”  E già, facile a dirsi, ma a farsi un po’ meno.

Mentre cerco di dare voce alle mie riflessioni, mi chiedo:

Siamo gli artefici del nostro destino o siamo in balìa di forze oscure?

Qualcuno potrà rispondere che siamo nelle mani del destino, di una forza esterna a cui non ci si può opporre ma solo accettare, perché il concetto è basato sul credo che esista un ordine naturale prefissato nell'universo.

Altri invece: ma no…. seguiamo la legge del karma.
(Termine che significa atto o azione e deriva dallo sanscrito Karman.)
E qui bisogna spiegare che secondo questa legge, semplicemente per essere chiari: la legge di causa ed effetto, siamo noi gli artefici di ciò che ci accade, perché quello che facciamo crea un’energia che poi ci ritorna indietro. Quindi se facciamo qualcosa di buono, o di cattivo, in egual misura, quello ci verrà restituito, tramite  il ciclo di reincarnazione, con la possibilità di evolvere e di riparare agli errori fatti.

Sono poco convinta, anzi non sono convinta affatto. Però…

Però non mi convince neanche pensare che ognuno di noi nasca con un destino scritto, e non possa far niente per cambiarlo, come a volte ho sentito dire.

Ci sono situazioni in cui il nostro impegno può fare molto. Innanzi tutto lavorando seriamente, lottando, per ottenere quello che desideriamo, cercando il vento più propizio per agire. Tutto dipende da come ci muoviamo nel nostro viaggio, da come lo affrontiamo, dalle opportunità che sappiamo cogliere.

E cosa ne pensate, invece, delle cose che accadono o non accadono, semplicemente perché era il momento buono o sbagliato, la situazione non era propizia o la fortuna – o la sfortuna – ha voluto così?

A volte un gesto banale come raccogliere uno scontrino che cade, una moneta da terra, scontrarsi con qualcuno, può cambiare il nostro percorso, magari perché ci ritroviamo a fare cose che ci porteranno verso altre strade, altri binari… magari solo per un po’, magari per sempre.

È avvenuto per volere del destino o è stato il caso?

Ho cominciato con due domande e mi accorgo di concludere con un'altra. Risposte definitive non ne ho trovate... sarà perché le cose, magari non tutte, accadono e basta?