giovedì 21 ottobre 2021

Risvegli


    Un mio racconto scritto nell'anno 2020.

Buona lettura

    C'è una casa, una casa grigia, in mezzo al niente, dove la vegetazione cresce attorno: disordinata e scomposta, e i ragni vivono indisturbati, appesi alle loro ragnatele. Tralci incolti d'edera verde, intrecciati ad altri, polverosi di un bronzo smorto, s'aggrappano alle mura scrostate, ricadendo su parte delle finestre. E c'è un altro giorno che s'appresta a nascere, tra i primi rossi chiarori in cielo, in una luce che inghiotte, salendo, le ombre vaste e diafane.

    L'aria di piacevole tepore resta fuori da quella casa dove una donna con il suo gatto conduce una vita piatta e desolata.

    Poi, ci sono le ferite. Ferite non rimarginate che sanguinano facilmente, di quelle che lasciano un segno impresso dentro, un malessere sordo, martellante. L'apatia, scavatasi un nido confortevole, lì vegeta indisturbata con gli oggetti nelle stanze, abbandonati alla polvere e dimenticati.

    I giorni felici, l'amore, gli affetti... un'appendice dolorosa per l’anima appassita della donna ancora giovane che, dopo la morte del marito, vive solo di ricordi. Per lei le emozioni non hanno un volto, un nome, affievolite e imprigionate, in un cuore fattosi duro e insensibile a qualsiasi mutamento, pure a quello delle stagioni che si sommano le une alle altre senza essere percepite.

    Il freddo dell'inverno, il caldo dell'estate, manifestano fuori i loro umori, la donna sembra non vedere, non sentire, ormai partecipe del niente nell'inevitabile suo lasciarsi trascorrere, come la casa, all'incuria e all'abbandono.

    Solo il gatto Aramis, dono del marito, porta un po' di luce nella sua vita.

     ***

    È giorno inoltrato quando la donna s'accorge dell'assenza del gatto. Non risponde ai richiami, e non è nei soliti nascondigli. Abituata alle sue stranezze, alla sua indipendenza, da subito, non vi fa caso, fino a quando, fuori scema la luce, e cala la notte cupa. Il buio coglie la donna, su una poltrona davanti alla finestra, con lo sguardo perso verso il bosco prospiciente la casa. Si alza per andare in cucina a mangiare qualcosa e sbatte con un piede nella ciotola delle crocchette di Aramis che si spargono sul pavimento, in quel mentre si accorge che il gatto non è rientrato.

    Va alla porta, la apre, lo chiama più volte, ma fuori risponde solo il vento.

    Accende il fornello a gas per scaldarsi un po’ di minestra e, tra un gesto e un altro, ogni tanto continua a guardare fuori nel buio assoluto.

    Che può fare? Aspettare ancora, o andare a letto e rimandare al mattino dopo? Fa passare ancora una mezz’ora, poi si infila tra le lenzuola, ma non riesce a prendere sonno e si gira, si rigira, senza trovare riposo. Ogni minimo rumore di fuori la turba, la mette in allarme. Solo adesso realizza di tenere molto a quel gatto, ultimo e unico affetto rimastole, e alla sua presenza silenziosa, ma costante.

 ***

    Nella notte, un rumore secco la sveglia: una porta, forse una finestra, che sbatte. Apre gli occhi, si tira su dal letto, e sente  il vento che sta scaricando sugli alberi la sua furia, sbatte le imposte delle finestre, e ringhia come un cane a cui hanno sottratto l'osso.
Un brivido improvviso, di freddo gelido, le attraversa le reni.

    Pare che fuori si siano radunati tutti gli animali del bosco, diavoli infuriati con la sua anima distante, in attesa di saltarle addosso.

    E se fosse Aramis che cerca d'entrare?  

    Si precipita giù dal letto. Va alla finestra, blocca meglio le imposte, poi va alla porta, ma non vede niente e nessuno, a parte qualche ramo spezzato che vortica a mezz'aria, trascinato qua e là. 

    È forse in ansia? Non sa spiegarsi quel sentimento insolito che si sta appropriando di lei, che le impedisce di tornare a dormire, distogliendola dalla solita indolenza.  Sente il freddo della casa entrarle nelle ossa, va in camera a prendere la vestaglia e se la infila, ma i brividi non passano.

    S’aggira per la casa, beve un po' d'acqua.

    L’attenzione, in salotto, le cade su un libro: la “Via Francigena”, che spunta da vecchi giornali. Dovrebbe fare un po’ di ordine, se solo riuscisse a togliersi di dosso quell’apatia che la fa vivere in un tempo interrotto. Il libro le risveglia vecchi ricordi, storie di viaggio, d'esperienze che Piero, suo marito, aveva il piacere di raccontarle. Cerca di cacciare le immagini, la voce gioiosa che risuona nella mente e le procura una fitta al cuore. Mette via il libro, prende un sonnifero con un po’ d’acqua e va a letto, sperando di dormire.

 ***

    Al risveglio è ancora preda di strane sensazioni, il vento però è scomparso e fuori è tornato il silenzio, ma di Aramis nessuna traccia. La donna comincia a preoccuparsi seriamente: - “Gli sarà successo qualcosa?  Forse si è azzuffato con un altro gatto, e ora è ferito e non riesce a tornare.” - E se avesse mangiato qualche boccone avvelenato? Sente una morsa stringerle il petto nel realizzare che potrebbe non rivederlo più, e scaccia subito l’idea.
    Apre la porta, fuori è tutto come ogni mattina, eppure c'è qualcosa di diverso, lo sente. Da quanto tempo non varca la soglia di quella porta?

    Si guarda attorno, osserva il bosco di faggi e abeti rossi poco lontano, tende l’orecchio e ascolta.  Il silenzio ovatta ogni cosa, e il tepore del sole la raggiunge, carezzandola timidamente.

    Deve ritrovare il gatto a ogni costo! Ma questo significa addentrarsi nel bosco e lei non c’è mai andata da sola, la vegetazione è fitta e ricorda che, a tratti, il sentiero non è ben visibile.
E se dovesse perdersi o trovare qualche malintenzionato? Eppure non sarebbe la prima volta… ma allora c'era Piero con lei.

    La donna si fa coraggio e prende ad avanzare, ma è titubante. Prova a chiamare Aramis, prima debolmente, poi più forte.

    Aspetta, fa ancora qualche passo… ma niente, dal bosco rispondono solo gli uccellini.

    Il sole le sorride benevolo, e s’accorge ora di quanta luce arrivi dal cielo azzurro e questo fa la stare improvvisamente bene. Dimentica le sue incertezze ed entra.  Avanza di qualche passo: i rododendri sono rossi in fiore, e le ginestre nugoli gialli, è un rigoglio di vegetazione. Pare quasi stupirsi della scoperta, aveva del tutto dimenticato quanto potesse essere ricca  di colori e festosa la primavera.

    Si siede su un tronco e lascia che l'ambiente la contagi lentamente. Sente il ghiaccio, il gelo, che ha nel cuore, sciogliersi lentamente, ma forse sta accadendo troppo in fretta, troppo presto. Le sue gambe si fanno dure, qualcosa dentro di lei si mette di traverso impedendole di avanzare.

     Resta seduta per un po', forse un’ora, ripassando i ricordi felici, tanti… troppi, e sperando di superare il senso d'impotenza, ma alla fine decide di tornare verso casa.

 ***

    Un'altra notte insonne, un altro giorno mette fuori i suoi raggi di luce. Intanto, nel dormiveglia agitato, la donna ha maturato l’idea di prendere lo zaino del marito appeso al chiodo e tentare al mattino ancora con il bosco. Il cammino potrebbe essere lungo se dovesse arrivare fino al fiume e potrebbe aver bisogno di un po' d'acqua da bere, di qualche barretta energetica e un maglietta leggera.

    La giornata bellissima, i passeri che volteggiano festosi, la incoraggiano ad inoltrarsi sul sentiero, più decisa, e stranamente leggera.

    Di tanto in tanto prova a gridare il nome Aramis, ma le ore scorrono e del gatto neanche un'ombra. La temperatura sale, la donna prende a sudare. Si sofferma per sfilarsi la giacca di pile, e beve un po' d'acqua dalla borraccia che ha portato con sé.

    Poi qualcosa di inatteso, di bello, forse da un gioco della sua fantasia... un rumore di passi... una presenza vicina. Allora si gira, si guarda attorno, ma è sola… Che strano scherzo gli fa la mente. In un attimo realizza: Piero... ma no, non può essere possibile. Da quanto tempo non le accadeva più di sentirlo vicino? La percezione si fa più intensa. Le ferite invisibili… la stanchezza, scompaiono e il coraggio la prende per mano. Ora non è più sola.

    Quando raggiunge il fiume, sono passate due ore. Si guarda circospetta, sulla riva solo una barca ormeggiata, simile a quella su cui era salita con Piero, intorno solo silenzio e colore. 

-   “Quante storie. Hai visto Sara? Non è stato così pericoloso, e ti è pure piaciuto.” - 

    Sorride commossa al ricordo di quelle parole e dei bei momenti passati lungo quelle sponde, e una lacrima le si ferma tra le ciglia. Ma non fa più tanto male. 
Poi un miagolio, un miagolio lontano la riporta al presente. Nel farsi più attenta s’accorge che, si sta avvicinando, il suono ora è più forte. Si sofferma in attesa, ma non per molto, forse pochi minuti e due punte di pelo bianco e nero, due code spuntano tra l'erba. Aramis? Ma sì è proprio lui che le si avvicina, e si struscia con il pelo ai pantaloni, e l'altro? È un grosso gatto bianco che sopraggiunge miagolando.

    Sara si rasserena, inspira a fondo, poi espira come a liberarsi di qualcosa, forse di un groppo che aveva dentro.

    Raccoglie una margherita tra l’erba e la mette tra i capelli, poi si spolvera i pantaloni polverosi, e in quel momento, una farfalla con le ali rosse e nere le si posa sulla mano.

 -   “Sali sulla barca Sara! L'altra sponda non è poi così lontana... può farcela, anche da sola. È ora che torni a vivere.” – Una voce, che conosce bene, la incoraggia.

    D’istinto si volta verso la barca… non c’è nessuno, è sola, ma forse non più, come prima.

Stefania Pellegrini ©

DIRITTI RISERVATI

mercoledì 13 ottobre 2021

La musica del momento

 

Da un'esperienza del 4 ottobre.


"Ogni giorno è un foglio bianco su cui scrivere note di musica, ha scritto Carlos Ruiz Zafon, note provenienti dal profondo dell'anima. Un foglio su cui soffiare un sorriso per donargli vita."



E come non rivedersi nella sua affermazione soprattutto oggi mentre apro il mio cuore e sento le parole dare forma al pensiero, seguendo la musica del momento. Cosa esiste di più bello della musica per rompere il silenzio, per rappresentare il sentimento del movimento?  Ascoltarsi e provare a lasciarsi portare dalle parole come note musicali di uno spartito?
Il giorno a cui mi riferisco l'ho già scritto, ma credo parlandone di rendergli nuova vita, di arricchire l'oggi mentre ne rivivo l'esperienza.
Faccio poco questo esercizio e mi suona un po’ strano, seppure mi piaccia ricordare giornate come quella di ieri con le sue immagini che si affollano nella mente e scorrono... allungate, sovrapposte le une sull’altre, quasi fossi ancora su un treno in corsa.

Mi viene voglia di riempire qualche riga di un foglio bianco, di darle forma per congelare in qualche modo gli istanti vissuti, così da rileggerli nel tempo e forse ritrovarne parte delle emozioni provate, di rivedere volti e sguardi che l’hanno arricchiti.

Non è certo la prima volta di un viaggio, né lo è per il ritiro di un premio, ma oggi uno stato d'animo particolare mi guida verso certe considerazioni e, mi porta a riflettere sulle mie esperienze, su quello che si portano dietro.

Non partecipo a molti concorsi, logisticamente non riesco a girare per l’Italia e, soprattutto, non è questo il fine del mio scrivere, eppure ogni volta un acquarello di mille sfumature, si apre come un quadro e si svela a nuove esperienze, mi entra dentro e arricchisce la mente di piacevoli sensazioni ed emozioni.


Nel mio quadro di ieri ci sono tante immagini, ma scopro che alcune siano più significative di altre, come lo sguardo e la gentilezza di due giovani seduti vicino a me, che su due treni diversi, mi  rivolgono un saluto quando mi alzo per scendere alla mia fermata, sembra di poco conto eppure non mi era mai capitato; la folla alla stazione di Milano, che in tempi di pandemia non ero più abituata a vedere, una fiumana di gente e di vite che mi vengono incontro.
E dentro porto il ricordo e l’atmosfera della sala della premiazione, avvolgente e calda di sguardi e di parole, e da ultimo come non considerare che “se” non fossi andata alla premiazione, oltre a non poter godere di questi momenti, mi sarei persa la conoscenza dello scrittore Giuseppe Lupo, i suoi racconti, le parole coinvolgenti, e soprattutto i suoi consigli sulla scrittura.



Rosy Gallace ( poetessa e organizzatrice del premio) - Giuseppe Lupo.

È inevitabile che finisca per chiedermi cosa sarebbe accaduto “se” avessi scelto altri percorsi. Magari adesso non sarei qui a scrivere di me, “se” quel giorno di venti anni fa non fossi stata stressata dal lavoro di ufficio e per caso non avessi provato ad affidare al foglio il mio disagio… ricevendone da subito un piacevole aiuto che ha contribuito, nel tempo, a cambiare il mio percorso di vita.

Potrebbero essere molti i “se” su cui riflettere, ma preferisco soffermarmi su questa scelta che mi ha portato lontano, e certamente dove non avrei mai pensato di arrivare. Mi ha dato gratificazioni, incontri e conoscenze, persone che condividono i miei stessi interessi.

Ho visitato, conosciuto luoghi, città che non avevo mai visto prima, mi ha portato a sale comunali, circoli ricreativi pieni di pubblico, ognuna, o ognuno sempre con le sue atmosfere e particolarità.

Momenti di grandi emozioni, di note che si fermano, dolci, avvolgenti, senza mai trovare la strada per uscire. Sono tue quelle note, mi dico, solo tue, ascoltale e lascia che crescano dentro a scaldarti il cuore… ogni volta e sempre come fosse la prima… sentire il mio nome e vedere trenta o quaranta volti girarsi e accompagnarmi con lo sguardo sul palco della premiazione, e la mia voce che ringrazia incrinata dall'emozione.


Questa è solo una mia esperienza, ma certamente ognuno di voi avrà dei momenti significativi che immagino ricorderà sempre con piacere e senz'altro anche i suoi "se" su cui forse avrà riflettuto qualche volta.