giovedì 30 settembre 2021

Dentro le mie storie: Le parole di Sofia

“Per mezzo della fotografia e della parola scritta cerco disperatamente di sconfiggere la fuggevolezza della mia vita, di catturare gli attimi prima che svaniscano, di rischiarare la confusione del mio passato" Isabel Allende - Ritratto in seppia.

 

Vittorio Matteo Corcos - Sogni -1896

Eccomi qua a parlare di loro, ma sì di storie, del fascino delle parole, che mi ha portato a trovare il coraggio di scriverle, a cercare un modo per non smarrirle per strada.

Scrivo, cancello, riscrivo, e le parole, quasi per caso, spuntano come foglie sugli alberi. Una a una  colorano il foglio bianco, disegnano mondi immaginari, animano personaggi di una vita parallela che riempie le mie ore, le mie giornate perché, proprio nell'istante in cui la storia prende vita, tutto pare cambiare: il buio scompare e la luce mi indica la strada per un luogo accogliente dove restare.

Intendiamoci non dico che ciò accada per magia, è una passione che richiede tempo, energia, impegno, ma credo che non potrei più rinunciarvi, la scrittura mi dà modo di entrare in contatto con il mondo che sta nascosto dentro di me, di aprire quella  porta normalmente chiusa e accendere la luce della fantasia e dell'interiorità.

In questi miei viaggi il tempo perde forma, interesse, esisto solo io e la mia storia, sto bene e non penso ai problemi della vita quotidiana, a volte dimentico persino l'ora del pranzo. 

Ho cominciato per caso, ormai quasi venti anni fa, per allentare la tensione che mi derivava dal ritmo sostenuto di casa e ufficio, scoprendo quasi subito che scrivere mi aiutava a stare meglio. Così sono nate le prime poesie, qualche piccolo racconto. E' nato il blog: "Frammenti di specchio" e successivamente questo, su cui ho trattato fino ad oggi argomenti di cultura vari e miei scritti: poetici e di prosa. 

Oggi che scrivere, per me, è diventato una necessità, un bisogno che chiede ascolto, ho maturato l'idea di dedicarmi solo a questo e di trasformare il blog in un contenitore di mie storie. 

Chi vorrà seguirmi e condividere con me il viaggio nel piccolo mondo sarà sempre ben accetto e gradito e lo ringrazio fin da adesso.

***

Sempre per restare in tema con l'argomento di oggi: le parole, condivido il racconto: Le parole di Sofia, una storia fantastica scritta nel mese di gennaio. 

Buona lettura.

Le parole di Sofia

È sveglia, intelligente, curiosa…  “Sofia è una bambina speciale” racconta spesso la madre.

Una notte la bimba sogna di passeggiare in un grande giardino con una bella signora dall’aspetto giovanile, vestita con una lunga tunica bianca. La giornata è piena di luce, l'aria è tersa e il cielo è una immensa distesa blu.

In quel giardino, tra orchidee di vari colori, e grandi cespugli di rose e ortensie bianche, lilla e rosa, Sofia scopre grosse piante dai fiori blu e gialli che somigliano nella forma a teste di uccello.

Sono gli uccelli del paradiso”, le dice la bella signora.

Cardellini, passeri, pettirossi, svolazzano qua e là allegramente. Una cinciallegra le si posa sulla spalla e si mette a cantare una melodia ritmica, sconosciuta.

La bambina guarda estasiata, affascinata da ciò che ha intorno… i colori, i profumi, la vivacità che respira sono contagiosi.

Un paradiso, un vero paradiso terrestre, pensa la piccola.

Sofia non ha un’idea del vero Paradiso, però ricorda quando gliene ha parlato la mamma per raccontarle della nonna volata in cielo un anno prima, e lei se l’è immaginato così: una goduria di colori, profumi e suoni dolcissimi.

Saltella qua e là, non sa dove soffermarsi.

Poi vede una pianta con tanti grossi fiori bianchi, la corolla allungata è chiusa, sono penduli e stropicciati.

“Oh, sono appassiti”, esclama dispiaciuta.

“Non è così, piccola, è una di quelle piante che fioriscono solo di notte, quando può attirare gli insetti impollinatori, allora alza e apre i suoi fiori sprigionando un profumo.”

È chiamata Trombone degli Angeli, ma non toccarla mai, alcune specie sono velenose.” 

Sofia non riesce a star ferma, troppe sono le cose da conoscere. Va avanti, un laghetto attira la sua attenzione, e si sofferma a osservare tre piccole tartarughe che affiorano a riva. 

La donna chiama la bimba.

“Sofia vieni qua.”

 “Vedi questi fiori? Adesso sono chiusi, ma la notte si aprono e sono molto vivaci, spesso anche bicolori e screziati.”

 “Avvicinati, questa non è una pianta velenosa, e puoi anche toccarla.”

Sofia si sofferma a osservare meglio, forse per un attimo, forse di più. Si volta… attorno a lei svolazzano tante piccole farfalle gialle.  

È sola.

***

La notte seguente la bimba s’addormenta serena, forse sognerà ancora la bella signora.

Entra in uno spazio senza tempo. C’è silenzio… è buio… forse è notte… Si guarda attorno. Non gli piace il buio, il buio la spaventa da sempre, teme quello che non può vedere.

Si fa coraggio, la curiosità è più forte della sua paura, e avanza, ma con fare circospetto.

Davanti a lei ecco… il giardino, i vialetti, le piante… è contenta di essere arrivata fin lì, ma la signora non c’è.

"Che peccato, lei era gentile e ho imparato molte cose."

Però ci sono i fiori, ecco, sì… quelli che si aprono solo di notte. Chissà come saranno aperti? E poi il loro profumo… deve assolutamente sentire, vedere.

Dimentica la paura, prosegue tra farfalline dalle ali screziate gialle, nere e rosse che saltellano di fiore in fiore, e tanti occhietti luminosi la guidano lungo i vialetti.

Splendore degli splendori, il piccolo laghetto riflette una palla di ghiaccio nell’acqua… la luna, che si specchia vanitosa… e tanti fiorellini a forma di campanella attorno, in un tripudio di colori, con le bocche aperte, paiono sfidare la bellezza della luna.

S’avvicina, ne coglie uno, anche se sa che non dovrebbe farlo, la mamma le ha detto più volte che non si strappano i fiori. Porta la corolla al nasetto per sentirne il profumo e… sorpresa.

Grande sorpresa. 

Si accorge subito di non aver colto un fiore qualunque.

Guarda, ammira, ne prende un altro, e poi ancora un altro. Meraviglia! Ogni fiore ha scritto sui petali… una parola.

Pensa che sarebbe un peccato lasciarle lì. No, non può, potrebbe perderle. E se le raccogliesse? 

Ma come? Pensa, ripensa… idea: una scatola, ci vuole una scatola.

Corre a casa a cercarne una, poi strappa i fiori che può contenere e se li porta via.

***

 Sofia non ha più sognato il giardino e la bella signora. È cresciuta, ma da quel sogno le è rimasta la curiosità di cercare parole, di inventarne di nuove.

Come fosse un gioco, le annota su fogli di carta che chiude in una scatola da scarpe vuota.

Impara ad attribuirle una forma, un colore, un odore e nel loro suono si sperde, attratta da una dolcezza improvvisa, un languore struggente.

Le vede salire, scendere come palline colorate di un prestigiatore, e le sue pupille gioiscono nell’osservarle saltellare davanti. Dentro di esse le sembra di leggere il bello e il male del mondo, ci trova la sua anima, la sua coscienza.

S’inabissa nel ventre della loro forma, le plasma, ne fa un tutt’uno con la storia della sua anima. Le sente a pelle mentre diventano spazio in cui respirare.

Bacia il loro sogno la notte mentre le cattura nell’impalpabile oscurità del silenzio. Ne riconosce il respiro, le attribuisce gesti, sguardi. 

Le parole però amano presentarsi solo con il buio e il silenzio, solo così riescono a mostrarsi nella loro vera essenza e la ragazzina prova ad assecondarle nella speranza che se ne creino altre per dar vita ad alfabeti nuovi, solo suoi.

Ogni giorno è scoperta, viaggio nell’immaginario, per lei è come sfogliare una tavoletta di cioccolata, gustarla, assaporandone lentamente un pezzetto alla volta.

Nessuno conosce il suo tesoro, nessuno può leggerle e va fiera della sua idea.

Passa del tempo e le scatole da una, diventano due, poi tre, quattro…

 ***

Va tutto bene fino a quando la madre, esasperata per il gran disordine della cameretta della figlia, una mattina entra per riordinare e trova le scatole nascoste dentro il guardaroba.

Guarda, apre, ma non ne capisce il senso, e le butta.

Quando Sofia torna a casa da scuola e scopre il fatto, prende a inveire a gran voce contro la madre, accusandola di aver gettato il suo tesoro.

La donna corruccia la fronte, è perplessa, ha buttato delle scatole con della carta… e si è assicurata non ci fosse niente di importante prima di farlo. L’atteggiamento della figlia, sempre così educata e giudiziosa, non le piace e la insospettisce.

Prova a far chiarezza, a calmarla, invitandola a sedersi sul divano accanto a lei, con voce bassa, ma ferma.

Sofia, già pentita dal suo comportamento, guarda la madre con sguardo indagatore, si fa sospettosa.

 Cosa le dirà, ora? Sa di essersi comportata male.

Però ha anche bisogno di parlare, di lasciarsi andare.

Non ce la fa a trattenersi, e racconta… racconta… anche di quel lontano sogno.

La donna ora ha compreso il disagio della figlia e l’avvicina a sé, la stringe dolcemente in un abbraccio.

“Figlia mia, non sapevo quanto quelle scatole fossero importanti per te, e mi dispiace di non averlo capito prima.”

 “Ma tranquilla. Le tue parole non sono andate perse, credimi. Sono tutte dentro di te, perché sono venute da te.”

“Ma come, mamma? Come potrò ritrovarle? Tu hai buttato tutto ciò che avevo di più bello.”

 “Con un po’ di pazienza, Sofia, con un po’ di pazienza. Devi dare tempo al tempo.”

“E sono sicura che ne troverai anche di nuove ma, non trattarle come fossero fiori da ammirare e venerare.”

Prende le mani della figlia e le stringe nelle sue, dolcemente.

“Condividi le parole. Penso tu abbia un dono e sarebbe sprecato se lo tenessi chiuso in una scatola.”

“Prova a usarle, continua la madre, carezzandole i capelli.

Che so? Scrivici un racconto, una poesia, oppure un diario, comunque il risultato non cambierà. Sarà sempre qualcosa uscito da te e vivrà attraverso te.”

Sofia seguirà i consigli della mamma? Non lo sappiamo, certamente non smetterà di cercare parole.

Stefania Pellegrini

Gennaio 2021 - 

DIRITTI RISERVATI



sabato 3 luglio 2021

Racconto: Luci e ombre

 

 
La stella (1876-78) - Edgard Degas


Il piccolo teatro è stracolmo, sulle prime note dello “Schiaccianoci” entri tu, nelle vesti di Clara. La musica ha sempre un effetto stupendo su di te, fin da piccola è stato così. Sembri sognare, e non pensi ad altro che a danzare, danzare soltanto... Sei bellissima nel tutù di tulle bianco, lo sguardo assorto perso verso un punto lontano, i capelli biondi legati in un elaborato chignon, racchiuso in una sofisticata rete azzurra.

Sto riguardando il video che mi ha fatto avere Angelica, la nostra sorellina. Già anche lei è cresciuta, dovremmo smettere di chiamarla la piccolina, così autonoma e indipendente, si è fatta una diciassettenne carina.

È la serata della tua prima. Cerco d'immaginare i preparativi, l'attesa dietro le quinte, i minuti che hanno preceduto l'entrata in scena. Ricordo, le prime volte, com'eri tesa. Mi parlavi di quegli istanti sempre come situazioni di profondo stress: le gambe che iniziano a tremare, la mente che va in tilt, il cuore che prende a battere all'impazzata, poi i dubbi che assalgono, il timore di deludere chi sta guardando, di deludere te stessa e la tua insegnante. Sarà ancora così?

Ballare lo so ti emoziona, ti dà gioia, felicità. L'ho sempre letta nel tuo sguardo quella voglia di salire sul palcoscenico, danzare per gli altri e soprattutto per te stessa. Non so immaginare cosa si provi esattamente, perché a parte qualche saggio di fine anno, non ho mai provato altro. Credo che solo tu possa essere in grado di raccontarlo.

“E' qualcosa di unico, una volta mi hai detto, ti dimentichi di tutto, senti solo la musica e ti muovi in una dimensione solo tua, come avvolta in una nuvola fuori dal tempo. “

Ecco, le luci si sono spente. Ultimo respiro profondo, adesso tocca a te!!! Cominci a muoverti padrona del palcoscenico. Ora i timori sono scomparsi, il tuo corpo si lascia trasportare dalle note dalla melodia, pensi ai passi successivi, a trasmettere quella che è la tua passione, sempre con un sorriso e un portamento impeccabili. Ti guardo catturata dalla tua leggerezza, dalla bravura, il tuo esile corpo si muove così fluido, sembra librarsi nell'aria come una libellula.

***

Sono qua a Parigi, lontana da te. Un volo, forse, ci avrebbe potuto riunire, ma il piccolo ha pensato bene di ammalarsi. Ha la febbre alta e non me la sono sentita di lasciarlo solo con Jean. A proposito di lui, mi dispiace non ti sia simpatico, e non abbia mai approvato la mia scelta, mi dispiace tu lo ritenga la causa della nostra rottura.

Ancora adesso, dopo quattro anni, non mi hai perdonato. Mi accusi di essermene andata di casa, di aver lasciato la mamma da sola con Angelica, e con papà morto da poco. Ma le cose non sono proprio andate come dici. La mamma me la sarei portata volentieri dietro, se solo avesse voluto, ma ha preferito restare accanto a te e Angelica. Non sono fuggita, ho solo seguito una proposta di lavoro a Parigi e Jean si è trovato in mezzo, lui non ha nessuna colpa delle mie scelte.

- “Ognuno deve seguire la sua strada, se ci crede veramente, qualunque essa sia” - Ricordi, le tue parole?

Hai scelto la danza ed io di farmi una famiglia e di ritagliarmi del tempo per scrivere. Abbiamo preso strade diverse, che c'è di così drammatico? La danza, mi hai detto una volta, è l’unica vera forza attraverso la quale si possono esprimere in libertà le proprie sensazioni, anche quelle che non si riesce a descrivere a parole. Tu non sai, però, quanta ce ne sia nelle parole. Diceva Gabriele D'annunzio: “La parola è una cosa profonda, in cui per l'uomo d'intelletto son nascoste inesauribili ricchezze.”

Scrivere per me è entrare in contatto con la mia parte più intima, è passione, è fantasia, è fonte inesauribile d'emozioni. Quando scrivo il mondo attorno non esiste, entro in un universo tutto mio e le parole fluiscono leggere e armoniche come note musicali.

Credo di aver letto da qualche parte che Alexandre Tairoff abbia detto: "La danza comincia ove la parola si arresta." Vedi abbiamo in comune più di quello che pensiamo, perché le nostre passioni si accomunano.

Ho provato a spiegarti, mille volte ho cercato, ma non hai mai voluto ascoltarmi, continui ad accusarmi di aver scelto la strada più semplice, di aver mollato tutto per un avvenire più tranquillo e forse monotono, ma tu cosa sai della mia vita?

***

Le ultime note… silenzio… le luci calano… scroscio di applausi, è tutto finito, sorridi ancora. Forse è il tuo sorriso più vero, un sorriso di soddisfazione… questo è tutto per te, è il tuo successo, ce l'hai fatta.

Quanto sudore per quei passi provati, riprovati fino allo sfinimento, per il tempo breve di un'esibizione, ma sono convinta tu pensi che ne è valsa la pena… per la gioia e il trasporto che ne hai ricevuto.

Il grande sogno di ogni ballerina, da quando comincia a muovere i primi passi, è quello di indossare le scarpette di raso con la punta rinforzata. So quanto le hai sognate… ma… sin dal primo giorno quanta sofferenza per i poveri piedi, sono state bolle continue e sangue, ricordo.

Per te, scarpette nuove o finite, non importava, stringevi i denti, mostravi un sorriso e, continuavi gli esercizi. La prima cosa che abbiamo imparato insieme è stato camminare, un passo dopo l’altro. Ricordi? Testa alta, peso in avanti, addominali tirati, mani sui fianchi…. Ma io non avevo tutta la tua pazienza, la tua determinazione.

Per me era forte sofferenza, una tortura!! Ed era, anche per te, una vera e propria tortura, lo so: più gli anni passavano e gli esercizi diventavano impegnativi, difficili, più il dolore aumentava eppure, ti vedevo mostrare soltanto la grazia, la coreografia con un sorriso stampato sulla faccia, come se il tuo corpo fosse stato leggero… una piuma e nulla ti potesse procurare dolore.

Ogni tanto ti domandavo perché lo facessi? E allora mi raccontavi come quelle scarpette rosa ti facessero volare, quanto era bello indossarle e quanto ti sentissi realizzata.

“La danza la devi portare nel cuore, io l'amo” mi dicevi, “invece a te è indifferente. È questo che fa la differenza”.

***

Sto guardando questo video che mi rimanda solo in parte l'atmosfera, il clima, di questa tua performance, lo faccio tornare indietro e lo riguardo, una, due, tre volte, voglio rivedere la luce che sprigionano i tuoi occhi, vederti muovere padrona di quel palcoscenico.

Sono estasiata della tua bravura, contenta per te e come potrei… non esserlo! Fantastico! Sei riuscita a realizzare il tuo sogno, il tuo grande sogno, ci hai creduto e adesso eccoti raccogliere i frutti di anni e anni di sacrifici, di rinunce.

Avevamo cominciato insieme i primi passi, verso i quattro anni in quei corsi annuali di avviamento allo sport. Per me era iniziato tutto come un gioco, per te invece fu passione a prima vista.

Dopo il primo anno ottenesti dalla mamma l'iscrizione ad una vera scuola, l'accademia di danza e fui costretta a seguirti.

Fin dai primi anni tra noi ci fu rivalità, tu arrivavi a casa e raccontavi dei tuoi progressi, degli incitamenti continui che ricevevi dall'insegnante, io invece pensavo ad altro e non mi impegnavo. In famiglia era contenti e gioivano con te, tu sapevi come attirare l'attenzione. All'inizio provai a emularti, ma ormai tu eri la stella di casa e tutti si interessavano a te. Forse ne soffrivo, non ricordo. Poi cominciai a leggere nei tuoi occhi la determinazione, la consapevolezza di essere la più brava. Vedevo gli sguardi di sfida che mi rivolgevi, così il mio impegno non è mai arrivato. Io non amavo mettermi in mostra, preferivo starmene da sola, e spesso me ne andavo in camera a scrivere o a leggere.

Forse è vero, ti ho lasciato al tuo destino, alla tua strada, e posso immaginare quanto sia duro ogni giorno: ore e ore di esercizi, di prove, ma io non ce l'avrei mai fatta, soprattutto non avrei mai retto il confronto.

Ho seguito, come sai, la scuola fin quando la mamma me l'ha imposto, ma anch'io non avevo molto le idee chiare. Che altro avrei potuto fare? In casa si parlava solo di danza. Poi i libri… gli scritti hanno cominciato a occupare tutto il mio tempo, ma questo è accaduto più avanti, quando ormai frequentavo il liceo.

Adesso sono qua lontana a ricordare e a scrivere tutte queste cose di noi.

Che cosa ti scrivo a fare? Mi sei mancata, mi manchi. Mi manca la tua voce... mi mancano la tua forza, i tuoi sogni... mi manca la condivisione.
Prendo il cellulare… ti chiamo, e questa volta spero tanto tu non riattacchi.
Sono sicura che, anche da lontano, possiamo sentirci vicine.

Stefania Pellegrini ©

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