mercoledì 3 febbraio 2021

Racconto: Agnese e la scatola

 


Non ha mai visto quel mare fino a oggi. Su altre acque ha posato il passo, su altre spiagge ha sognato, ma quel mare immenso, silenzioso, lungo e azzurro, l’oceano, non l’aveva mai conosciuto.

Il cielo annega in quell’azzurro e il sole dall’alto bacia lo sguardo suo e di Guido, vicini, intenti a rimirare l’infinito davanti a loro.

Il momento dolce e meraviglioso le entra dentro come una tessitura di luce argentea che invade e parla al suo cuore, rallentandone il battito.

C’è qualcosa di magico tra quelle acque, un’attrattiva che prova a interpretare.

Le scruta, le indaga alla ricerca di un contatto, una linea che segni il confine, un orizzonte da decifrare, un movimento che ne tradisca l’umore, ma l’oceano non dà cenni d’inquietudine, piatto e silenzioso guarda sornione di là dalla sua grandezza.

La vastità per un attimo la fa smarrire, ma la presenza di Guido è rassicurante, e la sua mente torna quieta.

Come ad avvertire il suo turbamento, lui l’avvicina a sé protettivo e l’avvolge in un abbraccio.

Una brezza leggera sale dal mare, delicata smuove i loro vestiti, si sofferma tra i capelli, carezza le guance, il viso, poi attratta dalla sabbia, da certe alghe depositate dall’onde, si allontana.

Agnese sente di doversi lasciar andare, è tutto suo quel momento ed è lì per essere goduto… non ce ne sarà un altro uguale…  sempre unico nel suo essere… e l’uomo che le è accanto è ciò che di più bello poteva regalarle la vita.

Il suo portamento è ancora giovanile malgrado gli anni, che si sa non risparmiano nessuno; lo osserva mentre si allontana per scattare una foto e sente di amarlo ancora con la stessa intensità di un tempo.

Sulla scia di un gabbiano i suoi pensieri prendono il volo. Il respiro del mare, eccolo, lo sente, ha suono avvolgente in quella risacca che bagna la riva, e il piacere irrompe dentro di lei.

Una ninna nanna la culla dolcemente… la rapisce… la porta lontano.

Si ritrova su una barca con Guido. Navigano… verso non sa… forse è una linea che vedono all’orizzonte. Sono alla ricerca di qualcosa, dell’origine di quella risacca? C’è in loro voglia di scoperta, di conoscenza, dell’ignoto mondo che si trovano attorno.

Guido le sussurra qualcosa, la donna non capisce, ma coglie tra le parole del marito il benessere di quel momento, forse il suo stesso piacere…  si sente leggera, vorrebbe volare se potesse e glielo dice, lui ride… È un attimo, poi è di nuovo sulla spiaggia e si mette a correre.  

L’uomo sta al gioco e la insegue. L’afferra, la stringe a sé con dolcezza, poi felici si lasciano cadere, come due bambini, distesi là sulle bianche e compatte sabbie, dimentichi di ciò che è stato e sarà.

Hanno tanto desiderato quella pausa, dopo anni di lavoro e di sacrifici: i figli da crescere, guidarli alla ricerca della loro strada, con lo studio prima, verso un impiego dopo, ora finalmente possono permettersi di pensare un po’ a se stessi, di dare ascolto ai loro desideri, e godersi quella vacanza in Francia.

***


Il mare d’inverno ha un’atmosfera intima e impenetrabile, un’attrazione silenziosa a cui Agnese non sa dar voce. La spiaggia è deserta, cumuli di nubi grigie all’orizzonte muovono veloci sotto la spinta di un vento capriccioso e turbolento.

Ha messo un maglione di lana blu e una gonna, è febbraio e certamente non ha scelto l’abbigliamento più adatto, soprattutto con quel vento, ma l’idea della gita è nata improvvisa, così dal niente, in un momento di nostalgia e non ha riflettuto più di tanto.

Savona non è distante da dove vivono, centoquaranta chilometri in autostrada, andata e ritorno in giornata per un saluto al mare, si sono detti.

Sono sposati da un paio di anni, Il lavoro di Guido li ha portati lontano, ma vengono da un luogo di mare e là hanno idea di tornare un giorno.

Il sapore di sale sulle labbra… la sabbia tra i capelli, entrambi respirano a larghi polmoni l’aria fredda, penetrante del vento.

La rena bagnata della battigia, sotto le loro dita, è contatto, rimanda ad Agnese la consapevolezza di qualcosa che si risveglia in lei e si fa struggimento.

Sorride nel ricordarsi bambina in certe giornate così, a sospirare dietro i vetri della finestra, chiusa in casa.

Il vento di libeccio ululava per giorni litigando con il mare, in una gara di lotta estenuante, come a cercare di dimostrare chi era il più forte. Le onde alte e impazzite oltre gli scogli a raggiungere la strada, i lucernai rotti… le porte serrate sul lungomare…  i turisti … i villeggianti come li chiamava la madre, che sarebbero arrivati solo per la stagione estiva… e il vuoto, la solitudine del lungomare.

Non amava quelle giornate, portavano con sé ansia e la intristivano. La sensazione, adesso, è ben diversa, anche il vento è diverso.  Sarà per la presenza di Guido, o la presa di un contatto con un mare che le è mancato, le acque pare le siano vicine, salutando la sua presenza, e raccontandole storie.

 Voci lontane si rincorrono, e le orecchie si fanno più attente, tentano di raggiungere, di cogliere, il senso delle parole, ma sono sonorità confuse che vanno… vengono… sulla spinta del vento, e portano umori torbidi, odori pungenti d’alghe tra misti a quelli della ragia dei pini.

Guido la chiama, la distoglie dai pensieri. Vuol farle una fotografia ricordo.

L’aria è ancora fredda, Agnese ha il volto arrossato dalle sferzate di vento. I capelli castano scuri, che non ha legato e ricadono fino oltre le orecchie, paiono matasse di paglia in balia delle forti raffiche eppure, ciò non la disturba, quasi non sente quel vento fastidioso, non sente niente.

È felice, è felice per l’improvvisata, è felice di quel breve contatto che porterà con sé per i giorni a venire.

All’orizzonte il sole si fa spazio tra le nubi, Agnese immagina e fa propositi sul loro futuro insieme.

 ***

 La foto della gita a Savona è ancora lì, da qualche parte. Agnese la cerca in una scatola tra molte altre fotografie. È passato così tanto tempo. Sfoglia, sposta, alla fine la trova e la estrae dal fondo della pila dove è infilata.

Sua figlia la coglie così, con quella foto ingiallita in mano e storce la bocca.

“Che fai mamma, sei ancora in vestaglia? Non hai visto che sono le 11,00? Coglie un peggioramento nella madre in ogni giorno che passa ed è seriamente preoccupata. Sarà irrecuperabile se non la smuove da lì, da quel passato che la isola dal presente e la sta allontanando dalla vita.

“Ancora con quella scatola! Non riesci a metterla via per un po’?”

“Dai, vestiti! Ti accompagno a fare la spesa.”

Agnese guarda la figlia con sguardo contrariato. Non ha voglia di uscire, né tantomeno di vestirsi, prende la scatola, la sposta, ma non si alza dal divano.

“Dai mamma, ti aiuto.” La giovane si allontana per prenderle dei vestiti, torna, le sfila la vestaglia e la dà una mano a mettere la maglia e una gonna.

“Lo sai che quel tempo che stavi guardando è passato, non c’è più? Lo sai questo?” Le parla con dolcezza e una punta di fermezza guardandola direttamente in faccia, una morsa le stringe lo stomaco: sua madre ha lo sguardo assente e gli occhi… gli occhi sono spenti, hanno perso tutta la vivacità di un tempo.

Agnese distoglie gli occhi dalla figlia, gira lo sguardo, non vuol sentire.

“Guardami mamma, ti prego!”

Cosa dirle, come fare per tirarla fuori da quel circolo vizioso? La madre ha le spalle curve, il passo più lento, e parla sempre meno. Deve fare qualcosa!

Non potrà restituirle suo padre, e non vuole neanche che cancelli i suoi ricordi. No, questo non sarebbe giusto, ma non può permettere che il suo passato la logori. Deve tirarla fuori!

Altrimenti finirà per fare confusione, per non distinguerlo più dal presente.

L’unica soluzione sarebbe portarla via da quella casa, allontanarla dalla scatola… per qualche giorno almeno, ma ci ha già provato, e la madre è stata irremovibile.

L’abbraccia e la stringe a sé teneramente.

La fa sedere di nuovo sul divano e le si siede accanto.

“Ascoltami! Una buona volta”.

“Io non voglio impedirti di ricordare quello che è stato, soprattutto papà. Ma ci sono altri modi per farlo.”

“Così stai gettando il resto della tua vita.”

“Il tempo non è altro che il presente, quello dell’istante e devi affrontarlo per viverlo”

 “Questo lo capisci?”

“Tu questo tempo invece, lo stai scambiando ogni giorno con il passato.” Guardami! Io sono qui ora, le tue nipotine anche. Noi… noi siamo il tuo tempo ora.”

Agnese si guarda attorno, vorrebbe replicare, ma non trova le parole. È da così tanto tempo… che non lo fa. Non sa spiegarselo, sembra che le parole se le sia prese tutte Guido quando se n’è andato. 

 
Stefania Pellegrini ©
 
DIRITTI RISERVATI


mercoledì 27 gennaio 2021

Storie di coraggio

Don Cirillo Perron, nella foto, era il giovane parroco di Courmayeur (Valle d'Aosta) quando nel 1943 salvò, con disponibilità e coraggio, la vita al piccolo Giulio Segre, di otto anni, figlio di un ebreo odontotecnico di Saluzzo.
 
La fuga precipitosa, verso la montagna e sempre rimandata della famigliola di Giulio, avvenne il 2 dicembre 1943, dopo il devastante bombardamento di Torino.
Prima in un treno stipato, poi a bordo di una corriera carica di gente schiacciata dalla paura, e si concluse con l'arrivo presso la parrocchia dell’allora trentunenne don Cirillo Perron, dopo un rischioso controllo affidato a un pietoso carabiniere.
Abituato a nascondere i perseguitati, e a non fare differenze tra amici e nemici, il giovane parroco trovò un modo per salvare la vita al piccolo Giulio e ai suoi genitori.
Lo fece passare, per tutti gli abitanti del posto, in un suo nipotino mandato in montagna per ragioni di salute.
Chiese alla madre, Eugenia, di tenersi lontana per alcuni mesi dal bambino, per non destare sospetti, e al papà Vittorio consigliò di recarsi a Milano, dove sarebbe stato più facile nascondersi e trovare lavoro senza essere riconosciuto. 
Furono anni segnati da paure e difficoltà, da rappresaglie di soldati nemici e da lotte fratricide, ma il ragazzo si salvò e restò con Don Perron fino all'estate del '45.
Il salvataggio potè avvenire grazie ad una nuova carta d’identità, a nome Giulio Bigo, che il parroco chiese a un coraggioso tipografo, improvvisatosi stampatore di falsi documenti.
 
A raccontare a distanza di tanti anni la vicenda è stato lo stesso protagonista, un dentista oggi nonno di nipoti ormai cresciuti.
La narrazione, dedicata inizialmente a loro, poi apprezzata da molti estimatori, è stata quindi tradotta nel romanzo:Don Cirillo e il nipotino”.

Uscito nel 2013 il libro, rivolto a un pubblico giovanile, riporta la straordinaria storia di un bambino ebreo che, durante la guerra, è salvato da un giovane sacerdote tenuto nascosto in Chiesa. E poi... incredibilmente coccolato da un ufficiale tedesco.
La storia scritta col garbo e con l’accorta sensibilità di chi si rivolge a giovanissimi lettori, è forse paragonabile, per ‘leggerezza’ dell’approccio ad un tema così drammatico, alla indimenticabile “La vita è bella” di Benigni.

Scrive nell’ introduzione Beppe Segre, fratello di Giulio nato nel dopoguerra e oggi presidente della comunità ebraica di Torino:

“La vicenda dolorosa e tragica della mia famiglia, prima umiliata dalle leggi razziali, poi costretta alla clandestinità e straziata dalla Shoah, è la stessa storia che hanno patito tutti gli ebrei italiani. Da Saluzzo sono stati deportati 30 ebrei, 22 originari della cittadina e 8 sfollati da Torino, solo una persona è tornata. Il mio ricordo va a nonno Moise, a nonna Emma, a ‘magna’ Adele, che non ho conosciuto e che vivono per me nel racconto di chi ha avuto modo di frequentarli e di volere loro bene. Ma nei giorni in cui le forze dell’ordine avevano l’obbligo di arrestare tutti i giudei e di confiscarne i beni nell’indifferenza dei più, ci fu chi ebbe il coraggio e la dignità di resistere.

Don Cirillo Perron mise in pratica il precetto biblico (Levitico,XIX,16). 
‘Non assistere inerte al pericolo del tuo compagno’.
 
 Senza l’aiuto di giusti come lui non saremmo in vita. Sia benedetto il suo ricordo”

Nato il 23 settembre del 1912 è morto il 2 ottobre 1996, Don Cirillo fu parroco di Courmayeur dal 1939 al 1989.