giovedì 13 ottobre 2022

Racconto: Aspettative tradite

 

Paul Chabas

Buona lettura.

Rientrata a casa, Giovanna poggia le chiavi al solito posto ed estrae dalla borsetta la busta tutta stropicciata che porta sempre con sé. Pensieri contrastanti le attraversano la mente, gli ultimi avvenimenti le hanno lasciato in testa solo tanta confusione. Entra in soggiorno e si lascia andare sulla poltrona in pelle, vicino alla finestra. Vorrebbe dare un nome alle emozioni che sente sgomitare dentro di lei, è agitata. Ha imparato a mentirsi, a raccontarsi che va tutto bene, ma adesso non basta più. Il peso della solitudine le pesa enormemente benché cerchi di riempire con i propri ricordi il vuoto e il silenzio delle sue giornate. 

Ha un passato di sacrifici alle spalle, la vita non è stata benevola con lei e troppo presto le ha sbattuto in faccia tante responsabilità.  Dopo pochi anni di matrimonio suo marito ha un infarto e muore, e si ritrova sola con una bambina di tre anni da crescere. È giovane, inesperta e dovrà imparare a gestire la casa, il lavoro, e la figlia allo stesso tempo, con le rate del mutuo della casa da pagare e il senso di vuoto, di smarrimento e di rabbia di certe giornate. Non sarà facile con il suo solo lavoro di contabile. Attraverserà momenti di sconforto ma la sua innata determinazione e forza interiore, e la presenza della figlia, l’aiuteranno a non crollare. Saranno anni difficili, lunghi e faticosi in cui non potrà permettersi un abito nuovo e dovrà rinunciare a un cinema o a un teatro da sola, ma riuscirà a cavarsela.

***

Gli anni passano e Giovanna si convince che presto Sonia potrà ricompensarla dei tanti sacrifici fatti. Vede che ne è valsa la pena, perché sta diventando una musicista promettente.

La ragazza ha pressappoco ventuno anni quando s'allontana da casa, ed è Giovanna a organizzare tutto, intenzionata a farle avere un'ulteriore preparazione all'estero.

Non pensa ai tre mesi che passeranno separate, al distacco che dovranno affrontare. “In fin dei conti cosa sono tre mesi? Passeranno in fretta e poi ho solo lei, non posso negarle questa opportunità.”

L’attesa però, la lontananza, scaveranno in lei un vuoto difficile da colmare e ciò che avverrà dopo avrà un impatto non indifferente sulla sua vita: l'ansia per le rare e brevi telefonate della figlia, gli stati di angosce da controllare... i silenzi. Silenzi, a volte insopportabili, incontrastati, così intensi da farle temere di inghiottire i suoi stessi respiri, compressa tra la routine monotona e solitaria di: casa – lavoro, lavoro – casa. Sarà un periodo lungo, interminabile, di continue sollecitazioni emotive che contribuirà a mettere a dura prova il suo equilibrio psichico.

 ***

Da un po’ di settimane la donna si sveglia nel bel mezzo della notte e fatica a riprendere sonno… Sono risvegli lunghi, a volte di ore, in cui sopraggiungono i pensieri del giorno che il buio della notte ingigantisce e trasforma in angosce. Prende appuntamento con il suo medico, ha bisogno di qualcosa, non può andare avanti così, durante il giorno è sempre stanca e ha problemi anche a lavoro. Errori, dimenticanze sono spesso all’ordine del giorno. Ha preso ferie e alle nove è fuori casa.

In sala d’attesa trova ancora tre persone prima di lei, il medico è in ritardo sugli appuntamenti. Per farsi passare il tempo si mette a sfogliare distrattamente una rivista. Poi però legge qualcosa che la turba e sente formarsi un nodo in gola che le dà la sensazione di soffocare. Ha bisogno di aria pura. Si alza dalla sedia, rimette la rivista sul tavolino ed esce dallo studio. Fuori gli alberi del parco sono già in fiore, gli uccellini cinguettano e svolazzano allegramente, i bambini sui loro passeggini, qualcuno passa fischiettando in bicicletta, tutta quella vita che ruota attorno a lei la fa sentire meglio. Respira a larghi polmoni cercando di interiorizzare il benessere che sente, d’improvviso realizza: è primavera, il miracolo della rinascita. Anche all’inverno più buio e lungo segue sempre lo splendore della luce e forse è arrivato anche per lei il momento di accoglierlo, di lasciare che il suo tepore sciolga il gelo della sofferenza.

***

Ora a casa apre il foglio stropicciato che ha estratto dalla busta, e lo rilegge per l'ennesima volta.

“Cara mamma,

cercherò di spiegarti il mio stato d'animo e spero capirai. Questi mesi trascorsi lontano mi hanno aiutato a capire molte cose, in particolare quello che sto cercando, quello che voglio fare della mia vita.”

Il profondo disagio è ancora lì come ogni volta quando rilegge quelle righe. Forse ha solo bisogno di tempo. Deve metabolizzare ciò che ha scoperto, estirpare il tarlo che la rode dentro. Deve provarci… distaccandosene mentalmente.

Come si fa però a liberarsi dei sensi di colpa? Hai un bel dirti: non si possono controllare gli eventi, le cose accadono e basta, vallo a far capire al tuo cuore.

Ora è anche più spaesata, anche la tristezza è ancora lì, la sente…dentro di lei come prima. Prova a dirsi:” Devi fartene una ragione” ma tra il dire e il fare, come si suole dire, c’è di mezzo il mare… e una traversata lunga e travagliata.

****

Giovanna legge con sofferenza:

“Era un tuo sogno ed io ti ho assecondata, pensando, illudendomi, che fosse anche il mio.” Le rinfaccia di aver cercato di influenzarla… e aggiunge di non voler più suonare il  violino… sta cercando altro, sta cercando se stessa ed è decisa a ricominciare da capo.

Ogni volta è sempre la stessa sensazione… sono parole che fanno male e le procurano fitte al cuore. Non c’è verso, come si fa a capire? Forse deve imparare ad accettare, eppure non è facile voltar pagina, metter via rabbia e sconcerto. L’ha protetta, le ha dato tutto quello che era in grado di darle per vederla felice e a questo punto forse anche troppo...

La verità, si sa, a volte può far molto male, soprattutto se non si è preparati a sentirla e si è ancora confusi come Giovanna. Non sempre gli errori sono così visibili agli occhi, quando c’è di mezzo l’amore.

“Cosa ho fatto, l’ho cresciuta con il paraocchi per non accorgermi che non voleva diventare una violinista? Eppure pareva così felice quando suonava. A Parigi deve essere successo qualcosa, sì, deve essere così, non può essere altrimenti. Magari il master era troppo difficile e Sofia per vergogna non ha avuto il coraggio di dirmelo.”

Al conservatorio aveva ottimi voti, l'insegnante, era molto contento del suo profitto e le diceva spesso: - “Sonia diventerà una brava violinista”. - E lei in quelle parole ci aveva creduto, nutrendo speranze e vagheggiando per la figlia un futuro pieno di successi. Aveva lavorato sodo e certe volte era stato duro farlo da sola, ma mai una volta le erano pesati i sacrifici, le rinunce, che aveva dovuto fare. Sofia doveva diventare una brava violinista.   E poi cosa era successo? Il suo castello di carta era crollato su se stesso.

 Ora però comincia pian piano a capire… si è riempita la testa di illusioni e ha ritagliato attorno alla figlia una vita non sua.

“Se solo non avessi insistito, adesso lei sarebbe ancora qua. Invece l’ho lasciata partire per Parigi e adesso sono sola.”

Sonia non voleva andare: - Mamma tu hai già fatto molto, adesso è arrivato il momento che io cammini con le mie gambe, vedrai troverò ben un’occupazione. - Invece sorda e cieca, Giovanna aveva visto in quel master un futuro promettente e l'aveva convinta ad accettare.

Non poteva immaginare quello che sarebbe accaduto dopo. Fiduciosa aveva contato i giorni, le ore, in trepidante attesa, sognando sul rientro a Milano e sul tempo che avrebbero ripreso a vivere insieme. Ma quando era arrivato il momento Sonia non si era imbarcata. All'aeroporto di Malpensa, sul volo da Parigi era scesa solo Emma, l’amica che le avrebbe consegnato la busta con la lettera.  Sonia non aveva trovato neanche il coraggio di spiegarsi a voce, giustificandosi nella lettera con il timore di una sua reazione, e la paura di essere dissuasa da ciò che aveva in mente. Vuole farcela da sola, le scrive, ha trovato un lavoro da cameriera in un bar che le permetterà di avere di che vivere per un po’.

****

Da quel venerdì a Milano passano giorni, mesi: lunghi, interminabili, di nuovo nell'attesa snervante, logorante, di un ripensamento, di una telefonata.

Il dolore vivo, lo stesso del giorno prima, e di quello ancora indietro, è forte, prepotente. Certi giorni lancinante in petto, serrato, raggomitolato su se stesso.

Giovanna è una donna ancora giovane, bella ma fragile che, da un po’ di tempo, non si prende più cura di se stessa. Tra i suoi capelli, un tempo rossi e lucenti si sono infiltrati fili argentanti. In ufficio qualcuno dice che è piacevole stare con lei, sa essere ironica e spiritosa, ma non ha più vivacità, luce nello sguardo, la sua è una faccia rassegnata. Una piega amara le segna la bocca e un velo di tristezza le attraversa gli occhi.

Nella lettera Sonia le prometteva di farsi viva, di aggiornarla via via sugli eventuali sviluppi, appena si sarebbe sentita pronta. La donna però non ha ben compreso cosa intenda con quel “sentirsi pronta”, ma non gli dà peso, e attende trepidante sue notizie.

Invece in sei mesi riceve due sole cartoline, poche righe in cui la figlia le comunica solo di stare bene. Poi più niente e lei vive quei mesi e quell’assenza assillata dai tarli che le girano in testa: “Sonia non farà più la violinista… Sonia non suonerà in un'orchestra… Sonia non ha più bisogno di me, vuole farcela da sola… e ora che faccio? Non mi resta più niente, anche i miei sogni sono andati, si sono dissolti come fumo. “

È delusa, profondamente delusa: dopo tutti i sacrifici che ha fatto per lei... Un sentimento misto a rabbia e impotenza prende a logorarla dentro portandola vicino a un forte esaurimento nervoso. Soffre di frequenti mal di testa, non ha voglia di fare, e spesso si assenta da lavoro per malattia. Passa le sue giornate a guardare le fotografie della figlia.

Poi prova a reagire e si mette a cercarla, seguendo le poche informazioni in suo possesso. Chiede aiuto a dei conoscenti, va personalmente a Parigi, ma di Sonia non trova tracce e deve arrendersi all’evidenza, rassegnarsi. Il dopo non sarà facile, dovrà imparare giorno dopo giorno a inventarsi un modo per andare avanti.

****

Poi questa mattina, nella sala d'attesa del suo medico curante, dopo un anno e mezzo, l'articolo sulla rivista. Porta la data di due mesi prima, e parla dell'inaugurazione di una mostra di pittura di una giovane promettente artista italiana, in un paese vicino a Parigi.

Subito il pensiero di Giovanna corre a Sonia. Chissà dove si troverà, e se starà bene? Poi mentre va avanti nella lettura le sale un dubbio, non sa spiegarsi la curiosità, qualcosa dentro di lei si agita e un fremito l’attraversa tutta.

Legge l'articolo con il cuore in gola, volta la pagina e vede la foto: un volto, quel volto. I capelli biondi lunghi, la struttura esile, gli occhi verdi grandi, espressivi, i suoi occhi... e sotto legge il nome e cognome. Non può essere. Invece è così… è proprio lei, e sorride radiosa. La rabbia, il rancore, covati fino ad allora, si sciolgono alla luce di quelle righe. Si sente sollevata, sua figlia sta bene e ora non le importa più se ha scelto la pittura alla musica, anche se in qualche modo ne resta colpita.

“Sonia è una pittrice…  Allora non ho proprio capito niente di lei.”  Da piccola le piaceva dipingere, oh sì lo ricorda, ma qui si tratta di ben altro e a giudicare dall’articolo è pure brava.

 Adesso è lì davanti a lei e potrebbe raggiungerla, prende a fantasticare. E, mentre rientra a casa, immagina il momento in cui la riabbraccerà, alle cose che si racconteranno.

****

Giovanna ora appoggia la lettera di Sonia che ha appena riletto sul tavolo e cerca di analizzare i fatti con distacco e più lucidità.

La stanza è avvolta nella penombra, fuori ha preso a piovere, una pioggerellina fitta e silenziosa. Domani potrebbe tornare allo studio medico e riprendere la rivista per annotarsi il nome del paese dove è avvenuta la mostra, potrebbe… Poi però pensa che Sonia ha l'indirizzo di casa e se fino ad adesso non si è fatta viva, con una lettera o una telefonata, è perché non vuole farlo. Forse teme un suo giudizio, forse di sentirsi chiedere di tornare. Vai a capire, solo Sofia può saperlo.

È combattuta e piena d'amarezza, ma capisce che deve cercare di comprendere quel silenzio, di trovare una ragione nella scelta della figlia. 

Si alza dal divano e va in cucina a prepararsi il pranzo. Sonia un giorno tornerà e lei sarà lì ad abbracciarla, ma ora deve smettere di attendere. Nell’attesa non c’è vita e lei invece ha bisogno di tornare a vivere.           

Stefania Pellegrini ©

Anno 2022                           DIRITTI RISERVATI

             

martedì 13 settembre 2022

Occasioni mancate, racconto.

 


Buona lettura.

Una giovane, avrei detto come se ne incontrano tante, non poteva avere più di diciassette anni. La conobbi in un periodo inquieto della mia vita, una mattina in un bar. Mi piaceva scrivere, affidare al foglio le mie emozioni, inventarmi storie, ma da un po’ di tempo la mia creatività era come appisolata. Mi mancava quella vena che metteva in corpo energia e motivava la fantasia e le mie giornate.  Il caldo soffocante di quell'estate poteva esserne la causa, ma più probabilmente era il periodo incasinato che stavo vivendo in famiglia.

Mi urtò il braccio con il gomito sinistro mentre stavo sorseggiando un caffè al banco e qualche goccia finì sul vestito blu che indossavo.  La ragazza, mortificata, continuava a chiedermi scusa e a insistere per ordinarmene un altro. Le dissi che non era il caso, l’inconveniente era di poco conto.

Aveva un piercing fissato sul centro del labbro inferiore e il lungo abito leggero di mussola a fiorellini, tenuto su da due sottili laccetti, con una balza arricciata al fondo, lasciava scoperti dei tatuaggi sulle spalle, tra cui un bocciolo di rosa.

Poco dopo un uomo ci raggiunse, l’afferrò per un braccio in malo modo, e la costrinse a seguirlo fuori dal locale.  Non ebbi il tempo di reagire, e rimasi impalata  come un baccalà a seguire la scena. Quell’uomo era stato maleducato e prepotente ed io non avevo detto niente, ma ormai non potevo farci più nulla e finì che mi misi l’animo in pace.

***

Passò del tempo, l'estate un ricordo. Settembre, o forse ottobre, una bella giornata comunque, ancora estiva. Stavo passando per il mercato rionale affollato di gente.

Distrattamente intravidi una giovane dietro altre persone, agitava le braccia in segno di saluto, cercando di farsi notare.

“E adesso, questa che vuole?” Poi la riconobbi e accennai un sorriso forzato, rispondendo controvoglia al saluto. 

Non ero dell’umore giusto per fare incontri quel mattino. Ero contrariata per non poter prelevare al bancomat perché non trovavo la mia carta di credito. Avevo messo a soqquadro la casa, e non era saltata fuori.

La giovane, per niente scoraggiata dall’espressione del mio volto, accelerò il passo per raggiungermi. Alta, molto magra, aveva una camminata leggera, che ricordava la grazia di una farfalla. Indossava grossi orecchini pendenti gialli a forma di fiore e l'abito verde in fantasia della prima volta.

I suoi occhi turchesi erano così grandi che parevano contenere un mare dentro e i capelli lunghi di un biondo slavato tendente al bianco, annodati in tanti cordoncini, ricordavano la criniera di un leone.

-Ciao, mi disse, ti ricordi?... Ci siamo già incontrate qualche tempo fa al bar… il caffè... ricordi? Mi chiamo Sofia e vorrei scusarmi per l’altra volta. Sai mio fratello è molto possessivo e mi controlla. Gli voglio bene, ma sai com’è: a volte vorrei sparisse perché è davvero un rompiscatole. –

Mi guardava dritta negli occhi con una certa spavalderia, però il tono della voce, il leggero tremore della bocca, mi fecero pensare ci fosse in quelle scuse una forzatura. Ma fui subito distratta dal ricordo delle lacrime versate per le litigate con mio fratello, ai tempi in cui ero poco più che una bambina. Così per alleggerire il momento gliene parlai, raccontando i suoi modi troppo protettivi e che trovavo ridicoli. Non lo sopportavo, non si fidava di me e mi dava fastidio dover giustificare ogni mio spostamento.  

Ci scherzammo un po’ sopra, ma c’era confusione intorno a noi, voci che andavano, venivano, si faceva fatica a capirci. Così le proposi di andare in un luogo tranquillo, magari per berci qualcosa e scambiare quattro chiacchiere. La presi dolcemente sotto braccio e la guidai verso il bar dietro l’angolo.

Cercai una posizione un po’ appartata a un tavolino all'interno e ordinai un caffè per me e una bibita per lei. Il locale era tranquillo, nonostante il mercato vicino: solo due clienti appoggiati al bancone e un’anziana seduta dall’altra parte della stanza. Si respirava un’atmosfera piacevole e mi distrassi ad ascoltare la barista che conversava allegramente con uno dei due avventori. Presi a sorseggiare il mio caffè e spostai gli occhi sulla mia compagna che fino a quel momento era rimasta in silenzio con lo sguardo basso. Beveva lentamente la sua coca concentrata o forse assorta nei suoi pensieri. Non mi pareva molto rilassata. Si trastullava con il bicchiere girandolo tra le mani, poi lo posava e prendeva a torcersi le dita lunghe e sottili. 

C’era qualcosa in lei che mi sfuggiva, ma non capivo cosa.

Presi a parlare del tempo, di cose futili, così tanto per metterla a suo agio e Sofia parve allentare la tensione e ritrovare la voce.

Finì la sua coca-cola e prese a raccontarmi una storia.

Mi parlò del fratello, aveva dieci anni più di lei. La teneva chiusa in casa e la lasciava uscire solo per mezz'ora al giorno o per andare a scuola, pedinandola spesso. I suoi genitori erano morti entrambi in un incidente stradale qualche anno prima. Un forte dolore e una grande perdita che non aveva ancora superato.  Dopo la tragedia, il fratello si era dovuto trasferire in quella città per lavoro, e l’aveva portata con sé costringendola a cambiare scuola e a lasciare le amicizie. Mi parlò delle sue difficoltà a inserirsi nella nuova vita. Mi parlò di infelicità, di solitudine, di disagio, di stati d’animo che nessuno attorno a lei aveva compreso. Parlava, parlava e più raccontava, più trovavo tutto poco chiaro e logico, c’erano omissioni, mancava qualche collegamento. Finì che ci capii sempre meno, ma cercai di non mostrarle i miei dubbi. 

-Perché questa ragazza mi sta raccontando tutto questo? A me... una sconosciuta. -   Che motivi ha quell’uomo per tenerla chiusa in casa, quasi segregata, e controllata a vista? -

-Mi sta forse nascondendo qualcosa? - 

Allora le chiesi dove abitasse e Sofia mi spiegò vagamente, parlandomi di una zona alla periferia della città, ma omise il numero civico e il nome della strada, e io per delicatezza non lo chiesi. Avremmo avuto tempo, più avanti. 

Le proposi altri incontri, pensai potessero aiutarla, se era sola e infelice come raccontava. Così ci salutammo dandoci appuntamento per il mercoledì successivo in quello stesso bar.

La seguii con lo sguardo mentre si allontanava con quel suo passo leggero di farfalla, e l’abito svolazzante di qua e di là. Mi faceva tenerezza, così dolce e fragile.  Rientrai a casa, però, con la sensazione spiacevole di un amaro in bocca e con maggiore inquietudine di quando ero uscita.

- Possibile si fosse inventata tutto? -

         La sua storia era infarcita di fantasie. Aveva parlato attraverso sensazioni, guidata credo dalle sue emozioni, più che da qualcosa di completamente reale, almeno questa era la mia opinione.

         Chi era veramente? -

***

Continuammo a incontrarci ma il quarto mercoledì mancò l’appuntamento, l’aspettai per una buona mezz'ora, poi tornai a casa. Pensai avesse avuto un contrattempo, e me ne dimenticai. Però non mancai agli altri appuntamenti, ma Sofia non si presentò più.

Allora mi pentii di non aver mai cercato di saperne di più. Ora avevo pochi dati per rintracciarla. Mi misi egualmente a cercarla. Andai in periferia, chiesi sue notizie al bar che frequentavamo, chiesi in giro a chi pensai potesse averla vista, nessuno però sembrò conoscerla.

Era come sparita nel nulla, ed io non riuscivo a dimenticare i suoi occhi turchesi, il mare inquieto che vi avevo letto dentro, il viso dolce, la voce bassa a tratti timorosa. Arrivai persino ad aprire il giornale e a scorrere la pagina della cronaca in cerca di sue notizie. La cercai nei volti tra la folla. Una notte la sognai che mi chiedeva aiuto. Diventò  il mio pensiero fisso e quel chiodo nella testa prese a torturarmi.

Tornai al mercato, al bar nelle ore che ci eravamo incontrate la prima volta,  sperando sempre in un incontro che mi tranquillizzasse.  

***

Una mattina, circa un anno dopo, la cameriera del bar, dove passo per la colazione, mi prende in disparte e mi dice: - Sai quella ragazza che cercavi? Mio fratello ieri mi ha parlato di lei, un suo amico vive nel palazzo dove abitava. -

-Abitava?... Ha forse cambiato ancora città? - La guardo stranita, allora è per questo?

La barista mi porta in disparte, in un angolo tranquillo del locale e ci sediamo a un tavolino. Mi faccio portare un’acqua tonica con ghiaccio e limone. Mi è venuto sete. Un’arsura improvvisa mi sta prosciugando la gola.

Lei prende a raccontare quello che ha saputo e io resto lì ad ascoltarla senza trovare parole per intervenire. Ma, più va avanti con il racconto e più mi sale una rabbia che faccio fatica a contenere.

Sofia mi ha mentito. Ero preparata a rivelazioni anche spiacevoli, eppure scoprire che ho parlato con una Sofia che in realtà si chiamava Anita, una giovane fuggita da una comunità di recupero a circa un centinaio di km di distanza da lì, mi fa male. Mi sento presa in giro.

Come posso non essermene accorta? Tutti quei bei discorsi di incoraggiamento, e non ho mai capito quali problemi avesse veramente.

- Ma brava, mi dico e adesso sentiti pure in colpa. – Avresti potuto fare qualcosa? Forse... avrei potuto? – Non lo saprò mai, come non saprò mai perché si facesse chiamare Sofia.  Il suo corpo, privo di vita, è stato ritrovato da un passante vicino ad un cespuglio in un cortile adiacente al caseggiato dove viveva.

Sofia, faccio fatica a chiamarla Anita, è morta! Morta per overdose, una settimana prima.

    La rivelazione mi lascia scioccata, non riesco ad accettare l'idea. Povera ragazza, era poco più che una bambina. Cerco di rimettere insieme tutta la storia.

In realtà, la giovane non aveva fratelli, solo due genitori preoccupati che l’hanno cercata per molto tempo. Viveva con un uomo, probabilmente quello intervenuto al bar al primo incontro, e con altri sbandati come lei, in un appartamento di uno stabile alla periferia del paese vicino.

In definitiva la sua storia, l’aveva un fondo di verità. La colpa è mia, stava a me saperla leggere tra le righe. Sofia era davvero prigioniera! Prigioniera della droga e forse anche di quell’uomo con cui si accompagnava.

Cercava libertà? Cercava stabilità, equilibrio? Forse andava solo cercando se stessa.

-Benedetta figliola, perché non hai provato a farmi capire? -

    O forse aveva provato, ma io non c'ero arrivata. Per questo mi aveva fermato? Perché cercava aiuto? Ed io, che avevo fatto?

Un bel niente, sono stata solo capace di dubitare, e non ho compreso quello che Sofia stava davvero vivendo. 

Se avessi dato un po’ ascolto al mio istinto e avessi provato a cercare la verità? Forse… chissà. Sono confusa… triste… amareggiata anche. È facile pensare che doveva andare così, che neanche io avrei potuto salvarla.

Resta il fatto che non ci ho provato.

Stefania Pellegrini ©

Anno 2022

Ogni diritto riservato 



Anno 2010 - Anna e Marco 
Lucio Dalla e Francesco De Gregori

La canzone  racconta la storia di due ragazzi immaturi e sfiduciati, solo troppo giovani, che hanno una visione pessimistica del futuro e dei progetti, ma che troveranno nel loro amore appena sbocciato, a differenza della protagonista del mio racconto, forse la via del lieto fine.