lunedì 20 ottobre 2025

Nuovo racconto: Incontri

 


Buona lettura

Anna e Serena vivevano a Genova, si muovevano disinvolte sulle scogliere o tra le acque del mare, ma molto meno lungo i sentieri di montagna.

L’idea dell’escursione era nata alla loro amica Giovanna che le stava ospitando a Chatillon per una breve vacanza, e voleva far conoscere loro le bellezze del luogo. Il Castello di Ussel lo vedevano tutti i giorni sul promontorio scosceso che domina dall’alto Chatillon, e curiose di visitarlo avevano manifestato il desiderio di ammirarlo da vicino, tanto più che l’amica aveva parlato di una gradevole passeggiata.

L’intenzione era di raggiungerlo approfittando del percorso pedonale per godere della vista sulla piana sottostante. Giovanna ne aveva parlato come un’escursione con poco dislivello. Dopo aver affrontato la prima salita ripida, il resto del percorso sarebbe stato pianeggiante o in leggera discesa. Solitamente il Castello era chiuso alle visite ma, le aveva spiegato l'amica, girando attorno ai due lati accessibili, se non altro, potevano apprezzare la sua struttura compatta, con le due torrette cilindriche sul lato d’ingresso a sud, e vedere una delle tre torri quadrangolari sul lato nord. Da lì si sarebbero potute soffermare sull’ampio spiazzo erboso adiacente per osservare il panorama del fondo valle e sostare per il picnic.

Quel giorno di luglio l’aria calda condensava qualche nuvola che si raggruppava qua e là in nembostrati, per cui Giovanna, interpretandole come passeggeri in lento dissolvimento, organizzò la gita. 

Prepararono gli zainetti con borracce d’acqua, qualche panino per il pranzo e al mattino verso le 8:30 raggiunsero la stazione di Chatillon con la macchina. Da lì avrebbero imboccato a piedi la strada che porta a Pontey dove, appena a sinistra dopo l’attraversamento del ponte sulla Dora Baltea, avrebbero preso la mulattiera che porta fino alla frazione di Ussel.

Euforiche per l’escursione, la prima da quando erano giunte in Valle d’Aosta, Anna e Serena imboccarono il selciato in pietra della mulattiera, leggermente in salita, parlando e scherzando allegramente con l’amica.

Nei pressi di un piccolo ponticello dove il percorso si restringe e la vegetazione, costituita da alberi, dirada lievemente lasciando spazio a scorci interessanti sul borgo di Chatillon e la sottostante Dora Baltea, il loro fiato cominciò a fare qualche capriccio e rallentarono il passo, soffermandosi ad ammirare il paesaggio attorno. Erano circondate da un’aria tranquilla, il sole coperto a tratti dalle nuvole rendeva il caldo piacevole. Il silenzio della natura, apparentemente appisolata, era interrotto solo da qualche uccellino appollaiato sulle fronde di alberi vicini che, di tanto in tanto, lanciava richiami canori.

Ad un certo punto, con un paio di svolte decise guadagnarono quota e, proseguendo in fila indiana tra una vegetazione rigogliosa, si ritrovarono su un sentiero sterrato. Fu allora che le due ragazze richiamarono l’attenzione dell’amica per fermarsi a bere dalla borraccia, e soprattutto per riprendere fiato. Sentivano il cuore in gola e avevano le magliette sudate.

 Intanto in quel lasso di tempo si era alzato un leggero vento che muoveva la vegetazione, le foglie degli alberi e in cielo, salendo da dietro le montagne, si stavano formando agglomerati di nubi sempre più compresse, dei cumulonembi dalla forma imponente e scura alla base.

 

Stavano camminando da una ventina di minuti quando cominciarono a sentire le prime gocce, e videro l’aria minacciosa del cielo grigio, scuro come graffite. Ma Giovanna rassicurò fiduciosa le amiche. Quattro, cinque minuti al massimo ed avrebbero raggiunto Ussel. Il Castello era vicino, c’era solo da percorrere un viottolo in pietra leggermente in salita. Ed aggiunse: “Sono solo quattro passi.”  

Però, sappiamo bene cosa può accadere nei climi montani. Dopo le prime gocce di avvertimento, la pioggia prese a scendere a scrosci. Le ragazze vi si trovarono in mezzo, senza la possibilità di ripararsi ed il passaggio dall’acqua alla grandine fu immediato, repentino. Sassolini freddi e grandi come piselli cominciarono a cadere e a rimbalzare sul terreno, sulla vegetazione, provocando inizialmente un forte crepitio, poi un rumore di colpi secchi e ritmati.

Nel giro di pochi secondi, vestite con corti pantaloncini e magliette sportive sbracciate, si ritrovarono zuppe d’acqua, investite da una scarica gelida, violenta, che non risparmiò nessuna parte del loro corpo. Giovanna non riuscì neanche a prendere il K-Way nello zaino tanto l’evento fu rapido.

La grandine colpiva, rimbalzava sulle loro gambe e provocava dolore e rossore sulla pelle. Anna e Serena non si erano mai trovate in una situazione simile e presero a lamentarsi per gli arti freddi e doloranti.

Accelerarono il passo, cercando di ripararsi la testa come potevano. Giovanna davanti, le altre dietro. Il terreno era diventato fanghiglia. Avevano i polpacci e le ginocchia graffiate, ed erano sfinite. Intanto Giovanna cercava di rincuorare le amiche e le esortava a tener duro. Non mancava più molto, Ussel era poco sopra.

La temperatura era scesa di qualche grado, si era fatto freddo attorno ed un forte vento ostacolava la loro salita. Cominciarono ad aver paura di non farcela, cinquecento metri sembravano un'eternità. Erano spaventate ed attraversate da forti brividi di freddo. Allora, con il corpo piegato in avanti, lo sguardo rivolto in basso, i capelli corti zuppi, si misero a correre. Scivolavano, si rialzavano e riprendevano a correre, finché… finché abbandonato il sentiero trafelate, giunsero in vista dei caseggiati, e poterono riprendere fiato. 

Il Castello dall’aspetto tetro, era alla loro sinistra, l’acqua correva sull’asfalto della strada deserta come un ruscelletto in piena, trascinando foglie, aghi di abete, terriccio.

Non grandinava più, ed era calato un po' il vento, ma una pioggia fitta ed insistente continuava a scendere dal cielo completamente nero.

Pensarono di andare alla ricerca di un bar, un luogo dove poter trovare rifugio. Bisognava aspettare, diceva Giovanna. Il temporale si sarebbe presto spostato.

 

Fu allora che udirono una voce femminile. Era di un’anziana affacciatasi sull’uscio di una casetta in pietra, con ciotole di gerani rossi alle finestre.

“Ragazze, non smetterà in fretta, venite in casa. Siete tutte bagnate, ed immagino abbiate freddo. Entrate – La sua voce vibrava come corde di violino – vi asciugate e se avete un cambio potete togliervi quella roba bagnata e sporca. Venite! Vi preparo qualcosa di caldo.” 

“Lei è gentile, grazie – aggiunse con tono riconoscente Giovanna – siamo un po’ stravolte, approfittiamo volentieri. Volevamo vedere il Castello e proseguire per il Ponte delle Capre, ma adesso non so più.”

La donna si muoveva rapida, probabilmente oltre gli ottanta. Minuta, capelli bianchi corti, un po’ arruffati, occhi piccoli vivaci, ricordava un folletto. Le fece accomodare in cucina, una ampia stanza con la stufa a legna e due larghe finestre che davano sul Castello.

Mise dell’acqua sul fuoco per una tisana e prese a dire:

“A… A proposito del Castello. C’è una storia, avvenuta tanti anni fa, la conoscete?” E, senza aspettare risposta, aggiunse con occhi che si accendevano di nuova luce:

“Ve la racconto io”.

“In un tempo lontano, io non lo ricordo, ero piccolina, nella frazione viveva una giovane. Avrà avuto circa venti anni, più o meno la vostra età, quando la madre si suicidò gettandosi dalla rupe del Castello.

 La nonna mi ha raccontato che aveva capelli mori, snella, simpatica. Carina, sì... insomma, credo un tipo come voi. La perdita inaspettata lasciò la ragazza affranta dal dolore, e con il senso di colpa per non essere riuscita a fermare la madre. 

Trascorsero un paio di mesi. Poi la giovane cominciò ad udire voci, che pare sentisse solo lei.

Dolci, non cattive, ma insistenti.

Le sussurravano parole, la chiamavano.

Senza sapere come, ogni notte si ritrovava sullo spiazzo erboso del Castello.

La vecchietta si alzò dalla sedia. Versò la tisana nelle tazze e riprese a dire:

 Un giorno trovò il coraggio di raccontarlo ad un’amica. E disse che quando era là vedeva figure angeliche che ballavano e cantavano.

Le descrisse come bellissime, con lunghe vesti bianche e capelli biondi sciolti fino alla vita. E raccontò che in mezzo a loro vedeva il volto della madre… avvolto da un velo trasparente che sorrideva e poi la salutava, e cercava di rassicurarla e le diceva che stava bene. 

Lilli era una lontana cugina di mia madre e, lei che la conosceva bene, mi ha detto che non era una visionaria, ma gli altri purtroppo, tutti nella frazione, quando cominciò a circolare la sua storia, dissero che si era sognando tutto, e poi che aveva perso il lume della ragione.

Così quando un giorno di ottobre Lilli parlò ai paesani di un fatto che avrebbe presto colpito Ussel e portato morte e dolore, tutti ci scherzarono sopra e risero. 

Provò in vari modi a metterli in guardia, come le aveva suggerito la madre, ma nessuno la prese sul serio. Per tutti diventò: “la pazza”, pure i bambini la canzonavano.

 Così un giorno sparì.”

La vecchietta si fece silenziosa, pareva assorta. Sollevò la tazza della tisana tra le mani e prese a sorseggiare il liquido tiepido. In quel mentre, un gattino bianco e nero entrò nella stanza miagolando.

“Volete sapere come andò? - Riprese la donna sorridendo ed accarezzando il gattino che faceva le fusa.

“Andò che dopo una settimana circa, qualcuno si ammalò. Cominciò con strane febbri che andavano, venivano. Vomito… diarrea, che il dottore curò come influenza. Ma dovete sapere che le persone non guarivano e l’epidemia si allargava.

Alla fine la causa era nell’acqua. Era inquinata, forse da un animale morto. Ma ci misero un po’ a scoprirlo. Intanto i più fragili, diversi anziani, morivano.”

“E a quel punto?” – Chiese Serena –

“Le male lingue si misero in moto. Dovevano dare la colpa a qualcuno… si sa come vanno le cose a volte nei paesi e qualcuno sparse la voce che era la vendetta di Lilli.

Era stata lei ad avvelenare l’acqua.” – precisò l’anziana e, rivolgendo lo sguardo fuori, aggiunse:

“Ragazze sta tornando il sole, non piove più. Potete riprendere la vostra escursione. Il percorso per il Ponte delle Capre dovrebbe essere piacevole, un tratto è addirittura in discesa.”

“Si è mai saputo che ne è stato di Lilli?” – Chiese allora Anna.

“No. Qualcuno, all’epoca, pensò fosse caduta in qualche burrone, qualcun altro disse di averla vista aggirarsi nei boschi. Ma in verità nessuno la vide più.”

 

La tre ragazze uscirono da quella casa in silenzio. Il cielo era tornato limpido, di un blu profondo che pareva un dipinto di Van Gogh.

Anna e Serena avevano lo sguardo perplesso, Giovanna invece appariva tranquilla, ed appena si furono allontanate esordì dicendo:

“Non avrete creduto a quella storia? Capisco che vi sia apparsa affascinante e costellata di magia, ma proprio per questo non è affidabile.”

“Dici?” Aggiunse Anna sollevando le ciglia.

“Ma non può essersi inventata tutto.” Ribatté Serena.

” Da queste parti ogni anziano ha una storia, una leggenda come questa da raccontare. Magari l’epidemia c’è stata ed è esistita anche quella Lilli… ma sul resto ho qualche dubbio.”

 Concluse Giovanna alzando le spalle mentre conduceva le amiche verso il Castello. 

 Ma Serena replicò:

“Comunque non la si può sminuire. La vecchietta le ha solo dato la sua interpretazione. Leggenda o non leggenda, è pur sempre una storia. Un viaggio nel mondo di Lilli e della sua mamma che, in qualche modo, lei ha fatto rivivere. E pensate, se non c'era la grandine non avremmo mai incontrato la vecchietta. Per me è stato bello.

Anche per me.- Aggiunse Anna.

“Sapete, – proseguì seria in volto - in un modo o in un altro, mi piacerebbe non essere dimenticata.”

“Ma va là, – disse Giovanna dandole una pacca sulle spalle – a cosa vai a pensare. Noi non moriremo.” Ed esplose in una sonora risata.

Stefania Pellegrini ©

(racconto pubblicato sulla raccolta: "Chatillon si racconta" ed. 2)

    

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