sabato 26 luglio 2025

Una brutta storia

                  

BUONA LETTURA

            Può darsi che io non arrivi a un certo giorno, può darsi... sia finita. La luna illumina il pozzo, in fondo riflette il niente. Può darsi che mi risveglierò e scoprirò che è stato solo un sogno, un brutto sogno... Può darsi. Ma se così non fosse? Sarebbe la fine.

              Le parole, in una grafia minuta, quasi infantile, della prima pagina di un quadernetto a righe, si interrompono bruscamente. Sul punto finale una sbavatura di inchiostro. Anita si sofferma su ogni singola frase, perplessa. Sfoglia... oltre solo fogli bianchi e pagine strappate. Le piacerebbe sapere cosa contenevano, ma ormai non potrà più scoprirlo.

            Era in mezzo all'erba, nei pressi di due abeti.

            Lo gira tra le mani, non ci sono nomi. La copertina rigida, semplice, è di un celeste pallido, marezzato, un elastico nero, sottile, tiene insieme le pagine.

            Ripete: “Può darsi che io non arrivi a un certo giorno”, se lo ripete più volte, la frase non le suona nuova... Ma sì! È il primo verso di una poesia di Nazim Hikmet: “Può darsi che io non arrivi a un certo giorno, può darsi che penzolando a un capo del ponte lascerò cadere la mia ombra sull'asfalto...” Recita mentalmente: “... se sarò vivo... suonerò il violino e canterò una canzone...” 

            Deve entrare in classe, penserà dopo al significato di quelle frasi. Il permesso autorizzato le scade alle dieci. Lontana da sguardi curiosi, infila rapida il quaderno nella tasca dello zaino e corre in Istituto. A lezioni concluse ha dimenticato completamente il ritrovamento, ma mentre esce dalla porta a vetri vede una giovane, alta e magra, aggirarsi nel luogo dove tre ore prima ha rinvenuto il quaderno.

            Si sofferma sotto la tettoia ad osservare la scena. La giovane rovista tra l'erba, sembra agitata. “E adesso, che faccio? Magari sta cercando quello che ho preso io.”  Fa un lungo respiro e va verso di lei. Da vicino tutto è più semplice, e naturale, anche dire:

            “Ciao” – estrarre il quaderno dallo zaino e aggiungere con un sorriso: “Stai cercando questo?” -  Mentre due grandi occhi verdi acquosi, profondi come il mare si fissano su di lei con sguardo imbarazzato.

            “Dove l'hai trovato?... Lo stavo cercando.” La proprietaria di quegli occhi afferra rapida il quaderno, come volesse strapparglielo dalle mani, e lo infila nella sacca a tracolla.

            “Era qui nell'erba, l'ho visto per puro caso e ho pensato di prenderlo per evitare che andasse perduto.” Risponde sorpresa.

            Può darsi sia finita.   È finita...”  Un dubbio come un punto grigio che rompe l'armonia del foglio, in questo caso della mente, come una folgorazione, le si manifesta improvviso.

             “Io mi chiamo Anita e tu?”

            L'altra cincischia con la sacca di stoffa, se l'aggiusta, resta in silenzio. Qualche minuto poi risponde: “Io sono Angela.” Per proseguire subito dopo: “Bene. Ti ringrazio. Sei stata gentile. Ma ora devo andare.”

            “Aspetta!” Anita la trattiene per un braccio e rimane colpita da quella sua carnagione chiara e pallida su un viso ricoperto di lentiggini. Se l'avesse già visto se lo ricorderebbe, così le chiede: - “Anche tu frequenti l'Istituto?”

            “No.” Risponde l'altra decisa mentre cerca di allungare il passo per immettersi in via della stazione.

            “Vai verso il centro? Io abito dalle parti del Municipio, ti accompagno.” – replica Anita –  

            Angela non ha nessuna voglia di fare conversazione, ma non protesta. Gira a destra, risale verso il borgo e si lascia affiancare sul marciapiede, cercando di ignorare quella presenza che le sta procurando disagio ed una insolita sudorazione.

            Si sofferma per togliersi la felpa, che indossa sopra i jeans e la maglietta con maniche corte, e la butta senza cura nella sacca. Poi riprende a camminare in silenzio.

            La giornata è calda benché siano solo gli ultimi giorni di aprile. Intorno si respira una piacevole aria vivace, quasi estiva e il cielo riflette un blu privo di nuvole.

            La ragazza pare non gradire conversare benché Anita cerchi di metterla a suo agio parlando di sé, della sua passione per i gialli, di quello che vorrebbe fare dopo il quinto anno... 

            Camminano affiancate sul lato sinistro della strada.  Incrociano un anziano con un bastone che zoppica, e imboccano il senso unico di via Emile Chanoux. Poco più avanti, un motorino, con a bordo due ragazzi, spunta da dietro un’auto e le supera rombando. Sfreccia via veloce ma entrambe sentono chiaramente gridare nella loro direzione: “Anita stai alla larga da quella. Porta iella.” Angela si fa rossa come un pomodoro, accelera il passo e prende a correre, mentre lei scuote la testa pensando ai soliti stupidi, che han voglia di scherzare.

            Vorrebbe fermarla, parlarle, raccontarle, che anche a lei è capitato che qualcuno la chiamasse snob o con altri appellativi, perché non dava loro confidenza, e in classe le nascondessero gli oggetti, ma non è facile stare dietro a quelle sue lunghe gambe. Anita che è grassottella, e decisamente più piccola, ha il fiatone.

            Supera il negozio fotografico, il panificio, sente il cuore in gola.  Nei pressi dell’ufficio postale riesce a raggiungerla e la ferma afferrandola per un braccio, mentre una donna anziana che le ha appena superate si gira a guardarle.

            “Angela, aspetta! Guardami! Non avrai davvero creduto a quei due? Sono dei cretini. Non hanno la misura dei loro scherzi.”

            “Ma che fai piangi?” Cerca nella tasca dei pantaloni ed estrae un fazzoletto.

            “Dai prendi, asciugati, non meritano le tue lacrime.”

             “Tu parli, parli. Ma che vuoi sapere?” Risponde Angela risentita.

            “Cioè? Ti hanno già importunata?”

            Nessuna risposta.  Al ché propone:

            “Dai, più avanti c'è un bar. Entriamo e ci sediamo un attimo.”

            Il locale è abbastanza tranquillo, nonostante l’ora del pranzo, dentro c'è solo un vecchietto che consuma il suo bicchiere di bianco e parla con il barista. Cercano un tavolino appartato e ordinano una coca – cola.

            Anita vorrebbe tranquillizzarla, dirle che si può fidare, ma sceglie di restare in silenzio. Prova però ad abbracciarla ed Angela, come una marionetta, non reagisce. I suoi occhi, velati di lacrime, fissano un punto lontano.

            Un atteggiamento che le fa tornare in mente: “E se così non fosse? Sarebbe la fine.” e come uno squarcio nel buio mostra la luce, vede tutto chiaro!  Prende quindi ad accarezzarle i lunghi capelli rossi, ma mentre lo fa, le viene in mente la novella di Rosso Malpelo disprezzato e considerato cattivo per il solo colore dei suoi capelli.

            - Ma no, che vado a pensare? - Dice tra sé.

            Il silenzio ora lo sente come un prezioso alleato. Le impedisce di fare un passo falso. Qualunque parola potrebbe rompere la sintonia che sente crearsi tra loro. Non deve avere fretta di sapere se vuole conquistarsi la sua fiducia.

            Angela intanto le ha poggiato la testa sulla spalla, e sta tremendo.

            “Non sono solo quei due, è un intero gruppo. - dice alla fine alzando la testa, e aggiunge con voce incerta: - Le ragazze. Sono soprattutto loro. Certe, mi seguono nei bagni, mi riprendono con il cellulare. Dicono che sono brutta, troppo magra, e mi vesto male.” 

            “Non permettere loro di farti sentire inferiore, - replica Anita - se tu non lo vuoi. Non c’è niente di giusto nel ferire i tuoi sentimenti, né nel silenzio, il tuo silenzio non fa che giustificare le loro azioni..”

            Angela non aggiunge altro, non le va di parlarle della sua vita ad una che fino a dieci minuti prima neanche conosceva. Ma sente un peso dentro che rischia di diventare un mattone. Tira fuori la felpa, se l'appoggia sulle spalle. Cincischia con le maniche che le penzolano sul petto, le arrotola, le srotola.

            Infine aggiunge: “Quei ragazzi abitano in uno stabile vicino a casa mia. Succede da quando sono arrivata in paese dalla nonna. Credo sia per un ragazzo.”

            “Cioè?”

             “Pensano si sia lasciato morire per colpa sua.”

            “Per colpa di chi? Di tua nonna? Addirittura! Ma che storia è questa?”

            “Non chiedermi altro, ti prego.” Replica Angela con voce sofferta – “E' una brutta storia, non voglio parlarne.” E aggiunge: “Dai usciamo. Devo andare, mia nonna mi aspetta e si preoccupa se ritardo.”

            Riprendono a camminare in silenzio, superano il palazzo del Municipio, e raggiungono il ponte. Angela abita poco più avanti ma sente il bisogno di spiegare. Si appoggia alla ringhiera in ferro battuto e riprende:

            “Una volta non abitavo con lei. Quando è successo il fatto non c'ero.” Fa un lungo sospiro.

            “Si chiamava Gianni. Era il fratello di uno dei tizi di oggi.”

            “Mia nonna mi ha raccontato che aveva seri problemi con la droga e lei aveva insistito con i genitori perché chiedessero di farlo ricoverare nella comunità dove lavorava come assistente sociale. Rassicurandoli che era la cosa giusta da fare. Così attraverso il Sert era stato inserito in quella comunità di recupero.”

            “E poi?... Cosa gli è successo?” Incalza Anita.

            “L'hanno trovato morto in bagno. Si era tagliato le vene.”

            “Oh… ma tua nonna... e tu, che colpa ne avete?”

            Angela alza le spalle: “Non lo so.” Non prosegue, ma resta con la bocca socchiusa, pare voler aggiungere altro.

            Dopo qualche minuto riprende:

            “Ti ho detto una bugia. Anch'io frequento l’Istituto, sono al primo anno. Dopo la morte dei miei genitori in un incidente stradale, vivo con mia nonna. E vuoi sapere tutto? Nessuno mi vuole come amica, c'è chi mi ignora, chi mi evita. In classe un compagno ha provato anche a passare un temperino sul banco per intimorirmi. Le male lingue parlano, sparlano e io non lo sopporto più. Ho deciso di lasciare la scuola.”

            “Oggi ero lì solo per quel quaderno.”

             “Mi dispiace, sono dei miserabili. - Replica Anita - Semplicemente dei perdenti che giocano a torturarti per sentirsi più forti di te, ma non lo sono, credimi. Senti, adesso ti accompagno fin sotto casa. Ti lascio il mio numero. Se ti senti sola, se hai bisogno di parlare, chiama!”

            Torna a casa, e dopo aver pranzato fa il numero di Elisa sul cellulare, una sua compagna. Con una scusa, si fa dare il numero di Fabrizio, uno dei due ragazzi che ha gridato quelle parole.

            La storia naturalmente assume i contorni di una verità... un'altra, la loro.  Le viene riportato che per un contrattempo amministrativo Gianni all'epoca era stato trattenuto in comunità due giorni in più del dovuto e la mattina che poteva uscire venne trovato morto.

“Se non c’è più, è colpa di quella donna, – le dice il compagno - doveva impedire che accadesse, doveva vegliare su di lui." 

            Benché il fatto sia accaduto da più di due anni, Fabrizio continua a pensarla allo stesso modo ed Anita capisce l’inutilità di farlo ragionare, e del piacere quasi perverso che provano lui e i suoi amici ad infastidire Angela.

            Riaggancia e sposta le sue riflessioni su altre strategie. “Quei ragazzi vanno fermati, devo solo trovare un modo. Giocano con la sua fragilità, ma sono solo vuoti dentro, fatti d’aria come palloni gonfiati.”

            Il mattino seguente, in Istituto, chiede di parlare con il Dirigente scolastico e racconta del quaderno, delle parole dei compagni, delle vessazioni subite da Angela. Rivela ciò che sa e viene quindi deciso di convocare i genitori dei ragazzi per informarli sui fatti e della motivazione che porta l’Istituto a sospendere i coinvolti.

            Per timore che la storia possa finire con una denuncia alle forze dell'ordine, secondo ciò che dice la legge, le famiglie intervengono, i messaggi vengono eliminati, e tutto torna alla normalità.

            Ma ciò che è stato seminato con tanto accanimento non potrà essere estirpato da un giorno all'altro, soprattutto nella mente di Angela.

Saranno l’intervento di Anita, la sua vicinanza e le sedute con una terapeuta ad aiutarla ad uscire dal baratro in cui è finita, ma dovrà lavorare molto sulla sua autostima.

Stefania Pellegrini

Anno 2025 - Inedito©

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