giovedì 20 settembre 2018

La sposa bambina


Quattordici anni, poco più che una bambina, era Mirela, ingenua e sognatrice come tante sue coetanee, quando fu venduta a uno sconosciuto, un uomo di dodici anni più grande.
Capelli scuri, occhi verdi, piccola, fattezze sottili e fragili, mostrava sul corpo i segni di un acerbo sviluppo.
Ma il padre aveva scelto, quello sarebbe stato il suo promesso sposo.
In Albania accadeva, faceva parte delle loro tradizioni. Le giovani  non avevano altra scelta che  accettarle e dire addio al loro mondo fantastico, alle complicità, alle feste allegre e spensierate con le amiche.
Mirela, da quel preciso momento, deve smettere di andare a scuola, è obbligata a rimanere in casa e  a imparare i lavori.
La mamma le dice: “Adesso sarà lui a pensare a te, a proteggerti, fai quello che ti chiederà e tutto andrà bene”.
A Mirela piaceva andare a scuola, imparare cose nuove, pesa dover rinunciare alle confidenze delle amiche, e rimanere chiusa in casa, ma si fida della mamma e pian piano si tranquillizza.
Poco più che quindicenne sposa quell'uomo. Lui la sottomette, da subito, la domina, la possiede come una sua proprietà.
Mirela si trova presto a subire i suoi maltrattamenti, a piegarsi in silenzio. Se non sono schiaffi, capelli strappati, occhi neri, sono serrature a doppia mandata che non permettono di uscire, violenze psicologiche per un piatto insipido o una dimenticanza. Non le viene permesso di pensare con la propria testa, e non la sfiora neanche l'idea di ribellarsi, né di considerare la parola violenza.
“E' tutto normale, si dice, non sono brava a cucinare o a fare le pulizie, non sono una buona donna di casa. Lui ha ragione ad arrabbiarsi. Devo stare più attenta”.
Ma le botte, le vessazioni non cessano. Il marito è furbo, non va mai oltre il limite, anche i lividi, che compaiono su parti del corpo non visibili, durano appena lo spazio di qualche giorno.
Mirela vive nel terrore, rumori poco più forti la fanno trasalire, la mettono in allarme. Lo vede dappertutto, con il suo sguardo minaccioso. Lo immagina mentre batte il pugno sulla tavola, o la rovescia, o mentre le dà uno schiaffo. E anche quando lui è al lavoro, s'aggira per la casa, in punta di piedi, lei ha paura di fare rumore.

Nasce Jorgo, e poi Ariela, con i figli la situazione non cambia. La felicità che prova  per le loro nascite viene, da subito, offuscata dall'ombra pressante del marito che con la sua forza la piega, la sfianca ogni giorno.
Finchè, qualcosa, un cambiamento si intromette nella vita squallida e Mirela comincia a sperare in un po' di serenità.
Il marito lascia l'Albania per emigrare in Italia e lei rimane con i bambini a Tirana dai suoceri, in attesa di un visto per l'espatrio. Quello sarà per lei un periodo tranquillo, che le farà ritrovare il sorriso, e sognare di poter vedere la luce in fondo al tunnel. Arriva a illudersi, al punto da immaginare che, con la calma in una casa accogliente in Italia, le violenze cesseranno.
Via dall'Albania tutto sarà diverso... Fantastica di tornare a scuola... di avere un po' di autonomia... di trovare un po' di pace.
Arriva il visto per il ricongiungimento e parte per Milano.
Ma in Italia Mirela trova una realtà molto lontana dai suoi sogni, scopre di essere una clandestina.
Il marito ha messo a carico del suo permesso di soggiorno i bambini, e ricatta lei quotidianamente, perchè non ha i documenti in regola.

Ogni giorno Mirela deve far in modo che sulla tavola non manchi il vino, che la casa sia pulita, i bambini silenziosi. Non può parlare, non può ribellarsi.
Ancora non contento delle umiliazioni a cui la sottopone, il marito pretende che si cerchi un lavoro a ore come donna delle pulizie, mentre i bambini sono a scuola, ed esige gli siano consegnati i soldi dei suoi lavori, altrimenti sono botte.
Mirela si sente un oggetto, è costantemente sotto ricatto, lui non la rispetta come donna, né come madre. Eppure, anche così, le è difficile credersi vittima.
Un giorno però, lui, oltrepassa il limite, minaccia il figlio Jorgo che si è messo in mezzo a una lite per difenderla.
In Mirella scatta la scintilla, comincia a temere per la vita dei figli, capisce di dover fare qualcosa, non può più permettersi di stare a guardare, di subire. La prossima volta potrebbe andare peggio.
E' terrorizzata. Consapevole del rischio che corre sprovvista di ogni documento, teme che un  passo in un'altra direzione possa portarle via i bambini.
Piange, ha paura, è in una situazione difficile, ma non si lascia abbattere. Trova il coraggio di chiedere, informarsi, e con l'aiuto di alcune amiche italiane sporge denuncia ai carabinieri. 

Io mi fermo qui, evito di andare avanti. Il racconto rielaborato dalla mia fantasia si ispira a una storia vera, tratta dal settimanale "l'Espresso" del mese di Luglio. Mi è piaciuto raccontarla per ricordare che per una donna che riesce a uscirne, ce ne sono molte altre nell'ombra, e purtroppo  non tutte ce la faranno come Mirela.

La vera storia va avanti:

La donna incontra un bravo maresciallo dei carabinieri che, con gli assistenti sociali, dopo un attento esame della situazione, la indirizzano alla sede dell'Associazione “Differenza Donna” e lì con l'aiuto di persone informate e di un avvocato riesce dopo un lungo procedimento penale a riprendere in mano la sua vita e a tenersi i figli.
Per saperne di più: 
Ancora oggi, in molti paesi più decentrati dell'Albania è la famiglia a promettere in sposa la figlia,  poco più che bambina, a un uomo di molti anni più grande.
L'Associazione Differenza Donna, come molte altre in tutta Italia, nasce proprio per far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza di genere grazie alle competenze specifiche delle socie: psicologhe, medici, educatrici, sociologhe, avvocate, giornaliste ecc. ecc. 
E' un punto di riferimento importante per le donne che si trovano in situazioni difficili.

10 commenti:

  1. Situazioni insostenibili, cui ancora oggi sono sottoposte le donne, in un percorso di vita non semplice da affrontare.
    Sempre speciali i tuoi articoli, cara Stefania, buona serata e un abbraccio,silvia

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  2. Per una donna che, dopo un lungo calvario, ce l'ha fatta , ce ne sono , invece tantissime, che subiscono e basta. Incapaci di reagire, di cercare aiuto. Meno male che ci sono associazioni che si occupano di questo grave problema perchè non è possibile che ci siano donne che vivono in queste situazioni. Un saluto.

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  3. Cara Stefania, leggendo attentamente questa storia, mi sono detto!
    Queste tradizioni debbono essere vietate da tutti i stati, vergogna umana.
    Ciao e buona serata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
    Tomaso

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  4. Un post superbo. Brava Stefania!
    Di donne così ve ne sono tante e molte sono italiane.
    Spero che cambi perché tutto ciò è molto difficile da accettare. Ciao e buona giornata.

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  5. Mio Dio ... sembrano solo ... storie , racconti e invece è tutto vero! E' stata fortunata ma chissà quante non lo sono , quante spose ... si perdono ...
    Grazie Stefania per questo post
    un abbraccio

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  6. Un post che deve far riflettere.
    Saluti a presto.

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  7. Ottimo post cara Stefania.
    La storia di Mirela che serva a tutte quelle donne che vivono in situazioni a rischio come queste per trovare il coraggio di denunciare e tornare a vivere!
    Un abbraccio.

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  8. Un lieto fine per Mariela, ma chissà quante donne non avranno mai la possibilità di sentirsi rispettate e libere di pensiero.
    Una piaga di questa società che non so se mai si sanerà.
    Cristiana

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  9. Ciao Stefania,l'ignoranza e la sopraffazione della donna esiste anche nella nostra bella Italia e le pene per i mariti padroni sono troppo blande ma sopratutto manca la cultura del rispetto.
    Un caro saluto.fulvio

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  10. Ciao cara Stefania,
    come va' spero bene!
    purtroppo le spose bambina sono una dura realtà ed, in tanti casi, fare qualcosa è anche difficile. Sinceramente è una pratica, usanza come la vogliamo chiamare che non capirò mai.
    Un abbraccio e un caro saluto
    buon fine settimana

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