venerdì 12 giugno 2020

Pesca al salmone

Un mio racconto.




All’aeroporto di Edimburgo sentì nuovamente la sensazione di pace, già provata all’atterraggio dell'aereo.
Era uno stato emotivo di leggerezza, e di piacere estatico.
In attesa di noleggiare un’auto, si mise a osservare le persone che passavano e pensò che in fin dei conti il mondo era un bel posto.  Un sentimento di euforia, legato a ciò che lo circondava, lo pervase.
Prese a sorridere ad ogni persona che vedeva passare, stranamente non si sentì stupido e si predispose ad assaporare intensamente le giornate che gli sarebbero andate incontro, come un innamorato che va incontro alla sua amata.
L’amore per quella terra filava per lui una rete magica di stelle e di fonti dove soffermarsi per dissetare l’anima.
Sarebbero stati giorni da sogno e già li pregustava, li sentiva risalire dentro, attraverso ricordi e uno stato mentale di completo abbandono.
Avrebbe ritrovato Armonia, la voce musicale che attraeva e stimolava la sua mente. Forse alla corrente del fiume dove la sua anima batteva più forte, ma era sicuro non avrebbe mancato l’appuntamento con il moto silenzioso delle nuvole in cielo o con la danza sinuosa delle chiome degli alberi.


Non c’era elemento della natura che non avesse la sua voce soave e delicata e l’orecchio suo non conquistasse.
Le sarebbe bastato ascoltare le sue note nell'aria per sentirsi parte del tutto.
Poi c'era l'altra, più cauta forse e lenta nel suo andare, ma come non innamorarsi di lei, lui che una così non aveva mai conosciuto.
Starle vicino era sentirsi un po' come i salmoni del fiume presi all'amo che provano a liberarsi, ma avvertire altresì uno stato d’estasi profonda che gli impediva di farlo.
Era bella Pazienza, affascinante, con un piglio di contagiosa docilità. Quando stava con lei, le percezioni cambiavano suoni e forma, le parole raccontavano nel loro harem la tolleranza e la calma.
A lei doveva un’attenzione accurata, la grazia ritrovata dei gesti e dei sentimenti, il sapore stimolante che hanno le scoperte senza fretta e da ciò gli veniva addirittura la capacità di cogliere il respiro dell’anima segreta di ogni cosa.
Aveva scoperto quanto le correnti del vento fossero affollate di suoni nascosti e sapeva distinguerne le sfumature.


Niente affidava al caso, e non trascurava neanche l'odore della pioggia, a volte insapore, altre carico di umori di terra, e profumi di erbe rigogliose, o i racconti che gli tesseva il fiume. 
Le sue fantasie navigavano acque sconosciute, scoprivano insenature solitarie e affascinanti. A questo si abbandonava: riceveva, accoglieva, interiorizzava gratificato.

Con l'auto avrebbe raggiunto Perthshire, e in perfetta solitudine praticato la pesca al salmone sul fiume Tay.
Non per cercare il trofeo, o pescare il salmone più grosso.
I pesci erano solo il mezzo, lo scopo era godersi quel paradiso di vita, l’incanto della natura e il mistero affascinante che l’avvolgeva. C’era equilibrio in quei luoghi, lo rispettava e lo percepiva come suo.
Anche i salmoni, che pescava, e liberava dall’amo per restituirli al fiume, facevano parte di quell’equilibrio.
Sentiva di essere un po’ come loro che risalivano la corrente per riprodursi, perché anche lui alla ricerca di un habitat congeniale per percepire le sue interiorità.


In quei luoghi riusciva a liberarsi delle maschere che metteva ogni giorno, di certi nervosismi, dell'insofferenze che accompagnavano le sue giornate. Immergersi in quella natura, acquisirne i ritmi, assaporarne gli spazi, anche mentali, era un po' come tornare a nuova vita.
Gli aveva parlato dei luoghi, un fornitore di birre scozzesi, esaltando la pesca al salmone che vi si praticava, la pace e il silenzio incontrastato che si respiravano.
Era stato quello un periodo molto stressante, di turni estenuanti al pub, di corse continue e mai un momento a sua disposizione per rilassarsi. Era bastato per convincersi fosse arrivato il momento di staccare la spina e di prendersi una pausa.


Si svegliò d’improvviso, l’alba era già oltre, dalle tende filtrava una luce decisa, intensa.
Con fatica e lentamente, riprese possesso delle sue membra, e della camera da letto in cui si trovava.
La Scozia… la pesca al salmone erano lontani.
 Armonia… Pazienza… andate, sgonfiate, come panna montata.
Di nuovo quel sogno.
Si tirò a fatica su dal letto, guardò la sveglia sul comodino, poi guardò di nuovo. Le lancette si stavano muovendo normalmente, non c’era niente di strano in ciò che vedeva, eppure la sensazione era ancora viva, intensa. Un’assenza di tempo gli aveva regalato l’emozione di vivere in un’altra dimensione.
Ricordò la pendola nella casetta là al fiume… la sua continua oscillazione… le lancette immobili perse in un sonno eterno. Lui parte di quel sonno in arrendevole forma… nessun suono… il volto nello specchio senza espressione.
Non era notte… non era giorno… un tempo di mezzo, sospeso, fermo, lo circondava, una sensazione di estasi perfetta.
Avrebbe voluto tornarci dentro, provarlo di nuovo.
Ripensò al fornitore scozzese incontrato appena una settimana prima e realizzò che doveva ascoltare il suo consiglio.
Solo adesso comprendeva quanto fosse bello e prezioso il tempo, soprattutto il presente, e lui lo stava sprecando senza viverlo. Pensò alle tante cose che non conosceva, all’istante che meritava di essere goduto pienamente.
Andò alla scrivania e accese il computer. “Basta con i sogni, pensò, è arrivato il momento di andare.”
Entrò sul sito della compagnia Ryanair e comprò un biglietto aereo per Edimburgo.

Stefania Pellegrini ©

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venerdì 5 giugno 2020

Il gelso e la sua leggenda


L'estate sta arrivando a grandi passi, quest'anno poi, prima degli altri. E' arrivata così senza fare rumore, e ci sta portando la voglia di evadere dalla quotidianità, di assaporare il tepore che ci circonda, constatandone il suo potere sulla natura, i mutamenti che avvengono intorno a noi e, anche in noi.



foto di Rebekka D - Pixabay


Riscopriamo i suoni che ci circondano, come quello immancabile dei grilli,  i colori e i profumi dei fiori, il gusto dolce dei frutti che in questa stagione abbondano in forme e varietà.

Il gelso per esempio, chi non ha avuto modo di conoscere questa pianta dai frutti dolcissimi?

Dal nome:“Morus alba.L. il gelso appartiene alla famiglia delle Moracee e la caratteristica di questa pianta è un lattice che viene secreto come difesa a ferite o lesioni per evitare la penetrazione di parassiti nel loro organismo.
E' una pianta arborea dotata di notevole rusticità, che ben si adatta a condizioni di terreni assai varie; proviene dall’Asia ed è presente in Italia da secoli, dove si è diffuso in passato per l’impiego tradizionale delle sue foglie come alimento del baco da seta.
I suoi frutti sono ricchi anche di ferro, vitamina C e vitamina A. Per questo si tratta di un rimedio naturale utile anche a contrastare l’anemia e le sindromi da raffreddamento, nonché a proteggere la vista. Infine, le bacche di gelso aiutano a combattere la stitichezza e a mantenere costante la glicemia nel sangue, mentre il loro succo contrasta la disidratazione.



Oggi, però, voglio parlarvi di una leggenda che il poeta Ovidio racconta nelle sue Metamorfosi a proposito dell'antico mito di Piramo e Tisbe.

Piramo e Tisbe - Pierre Gautherot

La prima volta che ho sentito la storia mi è sembrata familiare perché mi ricordava quella della tragedia shakespeariana di Romeo e Giulietta.
In effetti si crede che lo scrittore teatrale elisabettiano si fosse ispirato anche a questo racconto per la stesura del suo spettacolo. Come Piramo e Tisbe, Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti non possono passare momenti sereni a causa dell'odio delle due famiglie e si uccidono per restare per sempre uniti. 
Durante il Trecento, anche Giovanni Boccaccio e Geoffrey Chaucer riprendono il mito di Piramo e Tisbe per alcuni dei loro racconti. Nel Decameron di Boccaccio la quinta novella della settima giornata è assai simile al racconto dei due sfortunati amanti.

La storia:

Piramo e Tisbe erano due giovani babilonesi, vissuti durante il regno di Semiramide, e abitavano in case vicine. Nonostante i rispettivi genitori si odiassero a morte, i due si innamorarono presto. Dopo essere stati sorpresi a baciarsi furono rinchiusi ciascuno nello sgabuzzino del palazzo in cui vivevano. Ma, tramite una piccola fessura nel muro che separava le case, erano in grado di sussurrarsi le più tenere frasi d’amore.

Dopo del tempo, Piramo e Tisbe progettano un piano per fuggire: incatenare i loro guardiani e sottrarre loro le chiavi. La nutrice della fanciulla, una donna ingenua è molto facile da raggirare; Piramo, invece, si mette d’accordo con il suo guardiano, che finge di essere aggredito per consegnare  le chiavi tanto desiderate.
Il piano riesce e i due fuggono, girano per le campagne fino a quando non trovano un rifugio sotto un antico albero di gelso.  E lì, con la complicità del  tramonto, si amano… 
Poco dopo, Tisbe esce dall’oscurità per dirigersi verso una fonte vicina, ma si accorge che una leonessa, reduce da un pasto, sta bevendo proprio lì. La ragazza impaurita si nasconde in un antro buio e, nella foga, le cade il velo. La leonessa prende il velo e, giocando, lo lacera, e lo sporca con il sangue del precedente pasto.

Piramo, sopraggiunto dopo poco, vede il velo lacerato e insanguinato di Tisbe. Non trovando la sua amata, è colto da disperazione e, credendo che l’animale l'abbia uccisa, raccoglie il mantello, lo bacia e si trafigge con un pugnale.
Il sangue schizza in alto e i frutti della pianta di gelso, spruzzati di sangue, divengono scuri; la radice inzuppata continua a tingere di rosso cupo i grappoli di bacche. 
Nel frattempo Tisbe ritorna al luogo stabilito e cerca il giovane innamorato. Ritrova e riconosce la forma della pianta, ma il colore dei frutti la fa restare incerta. Mentre è in dubbio, vede un corpo agonizzante a terra, in una pozza di sangue, e rabbrividisce. 
Riconoscendo il suo amore, si batte le braccia, si tira i capelli, abbraccia il corpo amato e bacia il suo gelido volto. Piramo alza per un attimo gli occhi e li richiude. Tisbe riconosce il suo velo e, preso il pugnale di Piramo, si uccide. 
Prima di morire però rivolge ai genitori di entrambi la preghiera di restare uniti nella morte in un unico sepolcro, mentre all’albero di serbare il ricordo di questa tragedia e conservare in segno di lutto il colore scuro dei suoi frutti. 
Poi puntandosi il pugnale sotto il petto, si curva sulla lama ancora calda di sangue e si uccide.



E gli dei, impietositi accolgono la preghiera della giovane, permettendo  alle bacche del gelso, al momento di massima maturazione, di colorarsi per sempre di un rosso cupo e ricordare così il grande amore dei due giovani.