Il verde
rigoglioso e acceso della primavera esaltava le distese collinari della
penisola di Béara che ondeggiavano alla voce del vento, e l’oceano sottostante
velato dalla foschia del mattino aveva un aspetto sonnolento. La terra aspra ma
piena di suggestione si dipanava tra i viottoli costeggiati da distese
fioriture.
La
bicicletta gialla filava veloce attraverso il sentiero sterrato, che passava
attraverso i campi, dove pascolavano greggi di pecore dal manto bianco come
neve.
Eileen
pedalava, la gonna azzurra di cotone sollevata dal vento si muoveva ondeggiando
leggera sulla vecchia bicicletta che sobbalzava ad ogni buca incontrata.
La
giovane era in ritardo sull’orario stabilito. La proprietaria del negozio di
fiori del villaggio di Allihies era stata chiara: Un altro ritardo e doveva
scordarsi quel lavoro.
Eileen
non poteva permettersi di perderlo, era tutto ciò che di più caro avesse. Al
piccolo nido profumato avvolto nel verde e nei colori si sentiva a casa, anzi
avrebbe detto: meglio di casa sua, sempre così silenziosa e fredda. In quel
luogo coglieva piacere e calore. C’erano i profumi e i colori dei fiori,
c’erano le clienti che le raccontavano immancabilmente qualche fatto delle loro
giornate, e i pettegolezzi… be’ quelli non mancavano mai. Eileen era sempre
gentile e paziente con tutte e, mentre confezionava e curava i suoi fiori,
sorrideva di tanto in tanto o faceva qualche gesto con la testa, per
assecondarle e compiacerle, anche se il più del tempo era assorta nei propri
pensieri.
In quella botteguccia dagli infissi
rossi, che spiccavano decisi sulla via tra gli altri stabili colorati di blu,
giallo e rosa, c'era arrivata all'età di quattordici anni quando, morta la
madre e rimasta sola, era andata a vivere con la nonna paterna, anche lei
mancata un anno prima.
Ora la giovane ne aveva ventitré di
anni e si era fatta una splendida ragazza dai capelli rossi e grandi occhi
nocciola. Le lentiggini, sulla pelle porcellana del volto, mettevano in risalto
il suo sguardo: sveglio e sbarazzino. Il corpo snello, più alta della media
delle ragazze del villaggio, la rendevano un appetitoso bocconcino da
corteggiare, ma Eileen, di animo gentile e caritatevole, sempre impegnata ad
aiutare chi aveva bisogno di cure o di compagnia, non aveva tempo per dare ascolto
ai suoi coetanei.
Quel giorno come ogni mattina, prima
di iniziare il lavoro, si stava recando da una vecchietta, in una casetta
piuttosto isolata sopra le alte scogliere frastagliate della costa, per
portarle una bottiglia di latte fresco e qualche fetta di soda bread, il pane
irlandese.
Sapeva
poco di quella donna molto avanti negli anni giunta in quel villaggio quando
ormai era già anziana eppure le si era affezionata da subito e la sentiva
vicina come una seconda nonna. La sua dolcezza, i suoi preziosi consigli e quel
modo particolare di raccontare storie la facevano sentire una persona
migliore.
Arrivò
trafelata e mentre poggiava la bicicletta al vecchio muro scrostato della casa,
come a voler recuperare tempo, prese a chiamare:
“Moody,
eccomi, sto arrivando.” La casa era avvolta nel silenzio e nessuna voce
arrivava dal suo interno. La porta d’ingresso era accostata. Strano,
pensò la giovane, di solito è sempre chiusa. La spinse per entrare e si vide passare
tra le gambe il gatto che schizzò fuori lanciando un forte miagolio.
“Sean,
ma che modi. Che fretta hai di uscire?” Gridò infastidita.
Si
diresse in cucina, il fuoco nella stufa si era spento, l’aria era fredda. Moody
non c’era. Poggiò allora il sacchetto sul tavolo e in sua direzione, la
immaginava in camera, la casetta non aveva che due misere stanze, disse:
“Moody,
scusa. Sono in ritardo, lo so, ma prima di uscire trovo sempre qualche altra
cosa da fare. Come mai non hai riavviato la stufa? Qua si gela. Ti ho portato
del latte, ieri mi sembrava che ne fosse rimasto poco nella bottiglia.”
In
quel mentre vide sul tavolo in legno la ciotola del latte rovesciata.
Strano, pensò, che sia stato Sean? Ma
non sale mai sopra.
“Moody,
ma dove sei? Stai bene? Hai visto cosa ha fatto Sean sul tavolo?”
All’ennesimo
silenzio si precipitò in camera. Non era da lei non rispondere. Moody era
distesa in poltrona, indossava ancora la vestaglia e le gambe, le spalle, erano avvolte nella solita coperta vecchia e scolorita che si era fatta
all’uncinetto.
Eileen
le si avvicinò e la toccò leggermente su una spalla, ma niente. Sembrava
dormire profondamente. Al secondo tentativo più energico, la testa della donna
reclinò sulla spalla destra. Non poteva essere… uno brutto presentimento la
portò a controllare il battito del polso, auscultò il collo e si sentì
raggelare.
Oh
no, Moody! La prese
tra le braccia, con delicatezza, il suo corpo abbandonato a se stesso era così
minuto, pareva più piccolo e fragile del solito.
“Non dovevi andartene. Era una così bella giornata, dopo tanta pioggia, so che ne avresti gioito con me e adesso?
Che farò senza di te?” Mormorò tra le labbra mentre sentiva salire le lacrime
agli occhi.
Si
accasciò a terra come uno straccio bagnato e prese a singhiozzare.
Rivide
in un lampo il giorno che si erano incontrate la prima volta, risentì la sua
voce sottile, pacata, i suoi consigli e si perse in quei ricordi piacevoli.
Rimase assorta in quella posizione per un tempo imprecisato. Dopo cinque forse
anche dieci minuti realizzò di dovere avvertire il medico della contea e sempre
piangendo inforcò di nuovo la bicicletta e pedalò verso lo studio in paese.
Alla sera sfinita dalla giornata
pesante e dalla perdita, andò a letto presto ma non riusciva a trovare pace: di
tanto in tanto si appisolava e si risvegliava scossa da un improvviso incubo.
Verso l’alba il suo essere finalmente si acquietò e fu allora che fece un
sogno.
Sognò
Moody che le diceva:
“Mia
cara, non devi soffrire, non voglio che tu pianga più per me. Io non sono
morta.”
Aveva le sembianze di una giovane molto bella,
ma l’altezza, gli occhi, la bocca, erano i suoi. Di una bellezza delicata con
lunghissimi capelli biondi ondulati che le raggiungevano la vita, indossava una
tunica verde leggera che le sfiorava i piedi piccoli e sottili. Nudi.
“Il
mio corpo riposerà, ma la mia anima dopo esser tornata alla pietra che mi ha
generato, troverà un nuovo corpo per rinascere.”
“Tornerò!
Tornerò, forse anche solo il prossimo inverno. Ma tu dovrai fare una cosa per
me.”
Moody
parlava e mentre parlava sprigionava luce che si irradiava tutt’attorno.
Eillen la guardava affascinata. Davanti a
quella creatura evanescente, anche la voce pareva arrivare da lontano come una
melodia di arpa dispersa nell’aria, era come se avesse perso l’uso della
parola. Perplessa e piena di dubbi, non trovava il coraggio di fare domande, se
ne stava imbambolata davanti a lei incapace di dire una parola, come
una stupida.
Poi
accadde qualcosa. Forse vide un lampo, subito dopo buio e Moody scomparve. Aprì
gli occhi con una percezione strana, era nella sua stanza, nel letto, l’alba
era già sorta da un pezzo. Il dolore struggente del giorno prima era scomparso,
al suo posto riconobbe una sensazione di vaga leggerezza, come di ubriacatura.
Sono
solo gli effetti del sogno, si
disse, e il sogno è semplicemente frutto della mia fantasia.
Poi
ricordò qualcosa.
Era
un mito. Il mito della Cailleach Béara
o Vecchia di Dingle in cui si racconta che il paesaggio e l’aspra costa
rocciosa della penisola del Béara fosse abitata da secoli da una vecchia che
pare avesse origine dalla pietra bagnata dall'Atlantico e
alla pietra stessa ritornasse per rigenerarsi passando attraverso molte vite
che andavano dalla vecchiaia alla giovinezza in modo ciclico.
Era possibile che la vecchia Moody fosse quella dea mitologica?
Di lei si diceva anche che, durante i suoi diversi periodi successivi di giovinezza, avesse dato alla luce gli antenati di numerosi clan importanti della regione. Che sogno stava vivendo?
Si
vestì in fretta, consumò in piedi una fetta di plum cake e uscì per andare al
lavoro.
Quel
giorno trascorse veloce, era sabato e al negozio di fiori, dedicandosi a
soddisfare le richieste dei clienti, non ci fu molto tempo per pensare al sogno
e a Moody.
Il
mattino successivo si alzò dal letto più tardi del solito visto che era domenica
e non andava al lavoro. Fece colazione, e si vestì con calma per recarsi in
chiesa.
Uscì
e s’incamminò a piedi, l’aria ventilata del primo mattino era ancora piuttosto
fresca. Sulla via non incontrò nessuno. Fatto mezzo miglio le venne in mente
qualcosa… un cofanetto… il cofanetto che
Moody, in sogno, le aveva chiesto di recuperare.
Tornò
rapidamente indietro per prendere la bicicletta, poi cambiò idea. Non aveva
fretta, sarebbe andata a piedi e in chiesa alle 11:00, c’era tempo per tutto.
Anche se non era molto convinta doveva verificare di non essersi immaginata
tutto.
La
giornata era luminosa e trasmetteva buon umore. Il vento capriccioso del giorno
precedente aveva spazzato via tutte le nubi dal cielo. La casetta le apparve
più decrepita del solito. Le persiane in legno erano accostate e tenute insieme
con uno spago perché non si chiudevano più, nei vasi qualche narciso aveva la
testa gialla reclinata e quando riuscì ad aprire la serratura della porta
arrugginita l’accolse un gelo e un silenzio profondi. Le mancavano le fusa e il
miagolio di saluto di Sean, ma pensò che era al sicuro, in compagnia dei
bambini di una conoscente che se ne era presa cura.
Non
aveva più sognato Moody, ma quanto la faceva soffrire la sua assenza. L'attraversò un brivido e provò a scacciare tristi pensieri. In fin
dei conti, dopo che la donna era stata portata via, non era più entrata là
dentro.
Non
dovette rovistare molto per trovare il cofanetto. D’altra parte Moody era stata
chiara: “Vai alla credenza, sposta i libri che vedrai davanti a te e lo
troverai.” Non aveva neanche provato a nasconderlo meglio, pensò.
In
legno scuro di forma rotonda e dimensioni piuttosto piccole, il cofanetto,
racchiudeva un foglietto ripiegato e un sottile anello d’oro a fascia con
impresse pietruzze in smeraldo che dall’usura pareva avere moltissimi anni.
Quindi è tutto vero, non me lo sono
inventato, pensò Eillen rigirandosi tra le mani quei due oggetti, il
sogno aveva un fondo di verità. Oh Moody, perché non mi hai mai parlato di
questo? E ora che dovrei fare io?
Si
sedette sulla prima sedia in paglia che vide vicino infilandosi al dito
l’anellino prezioso, poi con mani tremanti aprì il bigliettino e lesse:
“Cara
amica mia. Sì, sono la vecchia di Dingle o se preferisci la Cailleach Béara. Tu hai portato compagnia, affetto e
sollievo ai miei giorni, e meriti di essere ricompensata, per questo ti
assicuro una vita lunga e felice. Richiudi il cofanetto con ciò che hai trovato
e portalo via con te. Mi raccomando non parlarne con nessuno e non aprirlo più.
il suo segreto deve restare tale. Quando sarà giugno, recarti alla cresta che
guarda Ballycrovane Harbour. Là sul promontorio che mira l’oceano troverai una
grossa roccia con una faccia scolpita. Dovrai sotterrarlo lì sotto. Fai in modo
di farlo bene, affinché nessun altro lo possa ritrovare.”
Trascorse
aprile, maggio e finalmente arrivò giugno. Si celebrarono le prime feste con
balli e musiche all’aperto mentre le fanciulle del piccolo villaggio sognavano nuovi
incontri e nuovi amori.
Eillen
scelse una calda domenica luminosa senza vento per raggiungere la cresta.
Quando raggiunse il luogo indicato a Kilcatherine, Béara, Eillen restò
paralizzata, il grosso masso rappresentava davvero i resti fossilizzati di un
volto. Sentì che le
tremavano le gambe, salire l’ansia. La pietra era lì davanti a lei grande, misteriosa.
Cercò di immaginarsi lo sguardo perso di Moody mentre fissa l'oceano e attende
il ritorno del marito Manannán, Dio del Mare, come viene raccontato nel mito.
Intanto
una folata di vento, lieve e improvvisa proveniente dall’oceano, si era levata
attorno, grossi gabbiani bianchi e grigi si radunavano, si aggiravano sopra di
lei gracchiando, alcuni si posavano sulla pietra. Non capiva se doveva temerli,
non ne aveva mai visti così tanti insieme. Istintivamente allungò una mano per
toccare quel masso e a quel contatto i gabbiani volarono via, disperdendosi
sopra le acque dell’oceano.
Andò
a prendere la pala attaccata alla bicicletta e prese a scavare lentamente,
quasi con un senso di pudore verso quel luogo che le appariva sacro, poi si
distese sull’erba soffice cresciuta attorno e rivolse lo sguardo al cielo.
Il
vento si era di nuovo placato ed era bello ciò che stava provando in quel
momento, sentiva una profonda pace salire dentro di sé. Abbassò lo sguardo
verso l’oceano e lo vide: lontano, verso l’orizzonte. Un grande arcobaleno si era formato
nel blu del cielo, e in mezzo il volto di Moody sorridente. Non desiderò altro
che fissare quell’immagine nella mente per sempre perché qualcosa le diceva che
sarebbe stata l’ultima. Chissà quale altro luogo avrebbe scelto la donna per
rinascere, perché ora ne era certa, una volta restituito il cofanetto la sua anima
avrebbe ripreso vita.
Sulla
strada del ritorno incontro un giovane. Un giovane straniero che le chiese
informazioni. Doveva recarsi a Allihies, ma si era perso. Proveniva da Cork ed era stato assunto al pub. I due si guardarono negli occhi e benché non si fossero
mai visti ebbero la sensazione di conoscersi e di piacersi. Il giovane aveva
una strana luce nello sguardo, un sorriso magnetico.
Un
incontro casuale? Chissà, forse non proprio, forse la vecchia Moody da qualche
parte stava sorridendo compiaciuta.
Stefania Pellegrini ©
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