Quell'anno, anche per i luoghi a ridosso delle montagne, l'estate fu particolarmente afosa. Il calore si addensava formando in cielo una cappa lattiginosa e spessa che tendeva a scendere, velando l'aria circostante. Si sperava nel vento per rivedere il cielo in tutta la sua limpidezza, ma continuava a farsi desiderare.
Quindi era raro incontrare qualcuno che percorresse il sentiero lastricato a gradoni che parte dalla periferia del borgo di Villeneuve per raggiungere la cappella dedicata a Santa Colomba, e la torre circolare del Châtel - Argent, un castello ormai ridotto a ruderi, la cui posizione a picco sulla Dora Baltea, intorno al 1275, quando fu realizzato, rappresentava uno dei migliori luoghi strategici di difesa della Valle.
Ma tre ragazzine e un ragazzo, che ne avevano fatto il loro posto segreto, non si lasciavano scoraggiare dalla calura e continuarono a darsi appuntamento lassù in quel luogo suggestivo da cui potevano vedere il percorso della Dora e un panorama mozzafiato che spazia lontano.
All'ombra della cappella i quattro si sedevano in cerchio per parlare, leggere o raccontarsi storie inventandole anche sul momento. Delle volte quel girovagare nella fantasia finiva per portarli molto lontano, a vivere situazioni pericolose, e fughe oltremodo avventurose. Ma era stimolante dare forma a quei viaggi perché era dare forma a nuove scoperte.
L'idea era nata da Emma e Chiara, due sorelle, rispettivamente di dieci e undici anni, dotate di ricca fantasia e l'inizio si può far risalire a un giorno in cui Chiara disse alla sorella:
“Ho una nuova amica. Tu non la vedi perché sta nell'ombra. Oggi ho provato a raccontarle una bella storia. Eravamo in vacanza con la mamma quella che avremmo dovuto fare se non moriva e mentre parlavo non ero più sola. Se vuoi te la presento.” Avevano sette e otto anni e quel mondo di fantasia si fece presto il luogo dove rifugiarsi, l'isola segreta per evadere dalla realtà del presente. Muoversi tra le parole, tra i racconti e condividerli con le amiche divenne il gioco preferito.
I personaggi delle loro storie andavano, venivano, scomparivano, ma i racconti non finivano mai. Al di là del piacere, delle emozioni che provavano, era il viaggio fantastico, e coinvolgente, il loro vero scopo.
Emma e Chiara approfittavano del riposino pomeridiano della nonna e passavano a chiamare Fabrizio e Serena, due loro coetanei, con cui trascorrevano le vacanze estive.
Verso metà agosto di quell'anno cominciò a circolare in paese la voce che, sull'alto del terrazzo roccioso prospiciente la torre, un contadino aveva visto una figura evanescente con le braccia protese in avanti, in procinto, secondo lui, di lasciarsi cadere nel vuoto. Ma il racconto risultò piuttosto vago, e neanche a se stesso seppe spiegare bene quel che aveva visto veramente.
“Sapete - aveva raccontato al bar - mai visto une telle créature... elle était magnifique... la lunga tunica bianca, un mantello rosso... i cheveux blonds legati in una lunga treccia. Poi... be'... non ho visto altro. Troppo lontana, è sparita subito.”
“Ma va là Faustin.” Gli disse uno che stava giocando una partita a carte con altri tre. “Che ci racconti? Cosa ti inventi?” E scoppiarono tutti in una fragorosa risata.
“Addirittura una donna con l'abito lungo, bianco. Ma chi vuoi che vada lassù con questo caldo.”
“Sarà stato un colpo di calore. Troppo sole – disse il barista scuotendo la testa - è stato certamente quello. Le chapeau... dove l'hai lasciato?”
“L'avevo. L'ho vista! Sono sicuro. Se non mi credete, chiedete alle nipoti di Esterina che vedo sempre da quelle parti. Loro devono per forza saperne qualcosa.”
All'uscita dell'uomo seguì uno scambio di mezzi sorrisi complici, poi ognuno tornò ai propri impegni.
Intanto quel giorno nessuno dei ragazzi era salito lassù. “Troppo caldo – aveva detto nonna Esterina alle nipoti – fate venire i vostri amici qua. Fuori, sotto il glicine, c'è ombra ed è riparato. Potete mettervi sulla sedia a dondolo. Io tanto ho da stirare.” Emma e Chiara provarono ad insistere, ma la nonna fu irremovibile e dovettero fare come diceva. Così fu pure per il giorno seguente che era domenica.
Il lunedì si era finalmente alzato un bel vento forte, un'aria fredda proveniente dalla Francia, abbastanza insolita per la stagione. Era arrivata all'improvviso e aveva ripulito il cielo spazzando via l'afa dei giorni precedenti, abbassando anche la temperatura.
Fabrizio che non temeva il fresco, uscì di casa verso le tre portando con sé una felpa ed evitò di avvertire la madre. Senza aspettare le altre, si incamminò sul sentiero verso il solito appuntamento, ma Emma aveva un po' di tosse e la nonna non fece uscire neanche Chiara. Anche Serena mancò, andò in città con la mamma. Così Fabrizio, che non avevano avvisato, si ritrovò lassù da solo. Si aggirava tra i ruderi e si diceva: sono in ritardo, ma arriveranno. Sarà colpa di Emma, si fa sempre aspettare.
Calciava qualche pietra, strappava dei ciuffetti d'erba secca, si annoiava, ma era fiducioso.
C'era aridità ovunque, l'erba aveva preso un colore giallognolo e pure tutta la vegetazione attorno non sembrava star meglio. L'ultima volta, che quel posto aveva visto la pioggia, era aprile.
Ad un certo punto in mezzo al rumore del vento si aggiunsero dei bisbiglii seguiti da risatine represse, voci lontane che intonavano un canto soave... parole che non capiva. Si voltò convinto fosse qualcuno dietro di lui, ma si sbagliava. A quel punto il suo cuore prese a battere forte e scappò via. Fece di corsa il tratto di ritorno e rientrò in paese.
Doveva subito raccontare tutto a Emma e Chiara. Non ce la faceva a tenerlo per sé, così raggiunse la loro abitazione e si fiondò dentro dimenticando di salutare nonna Esterina che stava in cucina.
Aveva ancora il cuore in gola, sentiva mancargli il respiro, ma trovò la voce per raccontare l'accaduto.
“Ma sei sicuro? - aggiunsero insieme le ragazzine con la faccia sorpresa – Strano. Non abbiamo mai sentito niente!”
“Ve l'assicuro, credetemi! Le ho sentite.” Replicò alzando la voce.
“Sss. Parla piano, dobbiamo fare piano. La nonna non deve sapere.”
“Boh.... senti. - Dissero ancora le ragazzine - Domani veniamo anche noi e vediamo se succede di nuovo. Avvertiamo anche Serena. Però non lo deve sapere nessun altro, capito? E' un segreto. Giuralo!”
“Ma sì, lo giuro... Certo, certo.” Le rassicurò Fabrizio.
Intanto, nel pomeriggio di quel martedì, Anselmo, un anziano che abitava nel borgo con la figlia, non era rientrato da una passeggiata intrapresa nelle prime ore del mattino. Intorno alle quattro pomeridiane la giovane dette l'allarme. Subito si diffuse la voce in tutto il paese e fu organizzata una squadra di ricerca. Negli ultimi mesi l'uomo aveva manifestato alcuni episodi di vuoti di memoria, e benché uscisse spesso per fare qualche camminata e fosse sempre rientrato, la figlia era preoccupata. Non poteva trattarsi di un allontanamento volontario.
L'appuntamento, di Fabrizio e le altre, quel giorno fu davanti al bar per comprare un pacchetto di biscotti da mangiare al Castello e solo dopo le tre pomeridiane, presero a salire. Fabrizio portava con sé un libro sulle streghe che aveva preso in biblioteca e aveva novità da raccontare. Fremeva, ma riuscì ad aspettare di aver raggiunto la cappella e di essere tutti seduti in cerchio.
Gli piaceva, lo faceva sentire grande, riuscire a suscitare l'interesse nelle amiche, leggere nei loro occhi l'aspettativa e la curiosità, cogliere la meraviglia sulle loro facce pronte ad esplodere in qualche esclamazione:
“Sapete che quassù intorno al 1300, mi pare nel 1339, fu arsa sul rogo una donna?
“Dai, ma davvero? Non ci posso credere e perché l'hanno fatto?” Gridò Chiara, aggiungendo subito:”Che cosa orribile.”
“Sì, davvero!” - Replicarono tutti in coro.
“L'ho letto su internet ieri sera - spiegò Fabrizio - Ho cercato informazioni sul Castello, e ho trovato questa notizia. Era una strega.”
“Le streghe allora sono davvero esistite? Avevo letto qualcosa - aggiunse Serena - ma credevo fossero favole.”
“Pensate se adesso si manifestasse a noi! - Proseguì la ragazzina – Ci pensate? Io ho un po' di paura.”
“Sì, anch'io.” – fece eco Emma.
“Ma dai, che cosa pensate ci farebbe? Siete due fifone.” replicò Fabrizio
“E invece tu? Come la metti con le voci che hai sentito e la fuga di ieri?” Aggiunse Chiara, dandogli una pacca sulla spalla.
“Ma... Non avevo pensato al vento, ecco. Ieri era parecchio forte, non come questo venticello di oggi.” Quel pomeriggio in effetti il vortice depressionario si era spostato altrove e aveva lasciato solo una leggera ventilazione con temperature decisamente più in linea con la stagione.
La ragazzina non insistette, le altre non intervennero e la polemica sfociò in una fragorosa risata, poi i discorsi si spostarono su altro. Via via i loro corpi raccolti e le loro menti si prepararono all'ascolto e un paio d'ore volarono via veloci.
Mentre erano in procinto di scendere al paese, da dietro i ruderi, apparve loro un'ombra. Un ombra velata accompagnata da dei bisbiglii e alcune risatine sommesse. Il primo a notarla fu Fabrizio che sbiancò in viso e indietreggiò, facendo indietreggiare anche le altre.
“Oh” - Esclamò -
L'avere un anno in più delle ragazze le ricordò che era il più grande e capì subito che non poteva farsi vedere pauroso, così esordì con voce controllata:
“Chi sei? Per caso sei... Ti chiami... aspetta, ora mi viene in mente. Eccolo sei Peronetta... Insomma sei la strega? ”
Le sue parole furono seguite dal grido delle ragazzine che a loro volta avevano preso atto della presenza estranea. Intanto l'ombra prendeva lentamente le sembianze di una giovane donna con i capelli biondi sciolti sulle spalle. Vestiva un lungo abito bianco leggero che il vento sollevava dolcemente mentre a piedi nudi si avvicinava a loro.
“Che si fa? - sussurrò Emma stringendo la mano della sorella – Se si scappa, lo facciamo tutti assieme. Ok?”
Ma nessuno aveva il coraggio di rispondere, né di fare alcun movimento. Fu allora che la visione si fermò e sentirono la voce. Era flebile, dolce:
“Non dovete avere paura... non sono qui per farvi del male.”
I volti delle ragazzine, al silenzio che seguì, si distesero, pure quello di Fabrizio e la donna capì che poteva riprendere a parlare.
Cominciò raccontando di quando era stata una madre molto giovane, una donna dedita alla figlia a cui voleva molto bene, parlò dei suoi sogni per quella creatura e infine citò l'accusa ingiusta di stregoneria che la portò in quel castello per essere arsa sul rogo.
Cercò quindi di far capire a quei ragazzini inconsapevoli i tempi in cui era vissuta. Non era così strano per quel periodo dare la caccia alle, cosiddette, streghe perché secondo molti erano persone che volevano creare una sorta di anti – chiesa, per permettere che il mondo passasse sotto il controllo del Diavolo.
“Io non ho mai fatto o voluto il male degli altri – precisò - sono stata solo una delle tante vittime di quel periodo perché le accuse erano fondate su fatti fasulli e immaginari.”
Poi con tristezza parlò ancora della piccola Alma, la figlia.
“Aveva appena tre anni quando successe. Io la stringevo tra le braccia, gridavo pietà... non ho fatto niente... fatelo almeno per lei. Non private una bambina così piccola della propria madre. Gridavo, li scongiuravo, ma quelli – aggiunse – me la strapparono dalle braccia senza pietà e se la portarono via.
Dopo di che se ne uscì con un'affermazione un po' strana. Non si sa quanto di vero ci fosse in quello che disse, ma se era riuscita ad arrivare fino a loro, qualcosa di vero ci doveva essere. I ragazzi le credettero quando affermò che l'uomo anziano scomparso quel giorno, era un suo lontano discendente perché seguiva, nei secoli, le generazioni succedute ad Alma.
“La mia anima non trova riposo, vaga qua e là e soffro ancora per quello che mi hanno portato via. Spero che l'aiuto che sto dando per salvare Anselmo mi faccia finalmente trovare la pace.”
I ragazzi l'ascoltavano, le bocche aperte, gli occhi spalancati. Rapiti forse dal tono dolce della voce, e forse affascinanti dalla storia che la donna stava raccontando loro.
“Dovete scendere subito al borgo – proseguì - e dire a tutta quella gente, che lo sta cercando, che non venga quassù. Non lo troveranno.”
“ Anselmo si è perso lungo la Dora e sta andando verso Aymavilles. Fate attenzione, però, a non parlare di me, del mio ritorno. Mi raccomando. Non devono sapere ed io vi assicuro che non mi farò più vedere.”
Poi rapidamente scomparve e attorno tornò il silenzio. I ragazzi si guardarono attoniti. Questa sì che era una storia, pensò poco dopo Chiara, mentre seguiva gli altri che si erano messi a correre verso il paese.
L'uomo fu ritrovato in stato confusionale, stremato, ma vivo. Cosa si inventarono per passare l'informazione senza parlare di Peronetta non è risaputo, forse raccontarono di aver visto da lassù qualcosa, o qualcuno lungo la Dora, forse altro. In quel momento si aveva fretta di salvare l'uomo e non si dette peso ai particolari, qualsiasi informazione doveva essere presa in considerazione, anche se riportata da dei ragazzini, e dopo che Anselmo fu in salvo si perse l'interesse di approfondire.
Si sa che dopo qualche giorno non si parlò più del fatto e il paese tornò al quieto vivere. Si dimenticarono anche le strane apparizioni e pure Fausto, il contadino, finì per convincersi di aver sognato tutto.
Fu un'estate fantastica, quella, che i fatti insoliti movimentarono e la resero speciale agli occhi dei quattro. Lassù alla torre tornarono a parlare spesso di Peronetta da Acquiano, e di altre streghe, affascinati dall'argomento. Ogni tanto, quando c'era vento, ad accompagnare i loro racconti si levavano nell'aria suoni lontani, indecifrabili, che in apparenza parevano canti, ma nessuno di loro ormai provava più paura.
“Dai Fabrizio, ci sei? Hai preso la borraccia con l'acqua?” Grida Chiara.
“Sì, certo. Prima passiamo in pasticceria. Ho fame. Dai Serena allunga il passo, anche tu Emma, sei sempre la solita lumaca.”
Un anno è passato dall'estate dei fatti appena citati. I ragazzi sono cresciuti, si stanno avviando verso l'adolescenza, ma crediamo che non abbiano perso il piacere di raccontarsi, di addentrarsi in quell'immaginario di storie che, in qualche modo, arricchisce il loro mondo interiore e influenza il loro modo di vedere le cose.
Stefania Pellegrini ©
Inedito - Anno 2025