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lunedì 11 aprile 2016

Il viaggio continua

INTERVISTANDO ITALO CALVINO
su “Le città invisibili”
2° Puntata
per leggere la 1° puntata cliccare al link: A proposito di: Le città invisibili
 




Che cos'è oggi la città, per lei?

Italo Calvino a tal proposito ci risponde:
Penso d' aver scritto qualcosa come un ultimo poema d'amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città. Forse stiamo avvicinandoci a un momento di crisi della vita urbana e “le citta invisibili” sono un sogno che nasce dal cuore delle città invisibili.
Credo che non sia un'idea atemporale di città quello che il libro evoca, ma che vi si svolga, ora implicita ora esplicita, una discussione sulla città moderna.
Le città descritte da Marco Polo diventano simbolo della complessità e del disordine della realtà, e le parole dell'esploratore appaiono, quindi, come il tentativo di dare un ordine a questo caos del reale.

Io:
Ci ha detto che il libro è nato un pezzetto per volta, a intervalli anche lunghi. Se mi permette torniamo un po' indietro, alla sua idea iniziale.

Italo Calvino:
Tutte queste pagine insieme non facevano ancora un libro. Anche un libro così (che si deve leggere come si leggono i libri di poesie, o di saggi, o tutt'al più di racconti) per essere un libro, deve avere una costruzione, cioè vi si deve poter scoprire un intreccio, un itinerario, una soluzione.
Un libro (io credo) è qualcosa con un principio e una fine (anche se non è un romanzo in senso stretto), è uno spazio in cui il lettore deve entrare, girare, magari perdersi, ma a un cento punto trovare un'uscita, o magari parecchie uscite, la possibilità d'aprirsi una strada per venirne fuori.
Libri di poesie non ne ho mai fatti, ma libri di racconti ne ho fatti diversi e mi sono trovato di fronte al problema di dare un ordine ai singoli pezzi, che può diventare un problema angoscioso.
Questa volta fin da principio avevo messo in testa a ogni pagina il titolo di una serie: Le città e la memoria, Le città e il desiderio, Le città e i segni.

Io:
Il primo capitolo del libro è preceduto e seguito da un “corsivo” in cui Marco Polo e Kublai Kan
riflettono e commentano. Ci racconti qualcosa in merito a questo.

Italo Calvino:
Non è esatto. Ogni capitolo del libro è preceduto e seguito da un “corsivo”.
Il primo pezzo di Marco Polo e Kublai Kan l'avevo scritto per primo e solo più tardi, quand'ero avanti con le città, pensai di scriverne degli altri.
Man mano che andavo avanti a scrivere città sviluppavo delle riflessioni sul mio lavoro come commenti di Marco Polo e del Kan e queste riflessioni tiravano ognuna dalla sua parte; e io cercavo di lasciare che ogni discorso avanzasse per conto suo.
In tutti i secoli ci sono stati poeti e scrittori che si sono ispirati al Milione come a una sceneggiatura fantastica ed esotica.

Io:
Un esempio?

Italo Calvino:
“Le mille e una notte”. Libri che diventano come continenti immaginari in cui altre opere letterarie troveranno il loro spazio; continenti dell'”altrove”, oggi che l'”altrove” si può dire che non esista più, e tutto il mondo tende a uniformarsi.
Il mio libro s'apre e si chiude su immagini di citta felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle citta infelici.
Quasi tutti i critici si sono soffermati sulla frase finale del libro: “cercare e saper riconoscere che e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dagli spazio”. Dato che sono le ultime righe, tutti hanno considerato questa come la conclusione, la “morale della favola”.Ma questo è un libro fatto a poliedro, e di conclusioni ne ha un po' dappertutto, scritte lungo tutti i suoi spigoli; e anche di non meno epigrammatiche o epigrammatiche di quest'ultima.

Io: 
Allora prendo spunto da quello che ci ha appena raccontato, in questa seconda parte, per riportare prima del racconto il corsivo che introduce il capitolo di: "Le città e la memoria".

“Non è detto che kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l'imperatore dei tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e attenzione che ogni altro suo messo o esploratore. Nella vita degli ambasciatori c'è un momento, che segue all'orgoglio per l'ampiezza sterminata dei territori che abbiamo conquistato, alla malinconia e al sollievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli e a comprenderli; un senso come di vuoto che ci prende una sera con l'odore degli elefanti dopo la pioggia e della cenere di sandalo che si raffredda nei bracieri; una vertigine che fa tremare i fiumi e le montagne istoriati sulla fulva groppa dei planisferi, arrotola uno sull'altro i dispacci che ci annunciano il franare degli ultimi eserciti nemici di sconfitta in sconfitta, e scrosta la ceralacca dei sigilli di re mai sentiti nominare che implorano la protezione delle nostre armate avanzanti in cambio di tributi annuali in metalli preziosi, pelli conciate e gusci di testuggine: è il momento disperato in cui si scopre che quest'impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è un sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita perchè il nostro scettro possa mettervi riparo, che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi della loro lunga rovina. Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana d'un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti.”
Diego Rivera
Le città e la memoria. 2  
(Isidora)

All'uomo che cavalca lungamente per terreni selvatici viene desiderio d'una città. Finalmente giunge a Isidora, città dove i palazzi hanno scale a chiocciola incrostate di chiocciole marine, dove si fabbricano a regola d'arte cannocchiali e violini, dove quando il forestiero è incerto tra due donne ne incontra sempre una terza, dove le lotte dei galli degenerano in risse sanguinose tra gli scommettitori. A tutte queste cose egli pensava quando desiderava una città. Isidora è dunque la città dei suoi sogni: con una differenza. La città sognata conteneva lui giovane; a Isidora arriva in tarda età. Nella piazza c'è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro. I desideri sono già ricordi.

(Fonte: nuova edizione delle Città negli Oscar, presentazione.)