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lunedì 22 febbraio 2016

Il sacrificio di Alcesti

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Allora tacque, e chi venne fu lei,
esile forse più di prima, e lieve
e mesta nella sua veste nuziale.
Gli altri non sono che la strada a lei
che viene, viene... (e subito sarà
tra le braccia che s'aprono al dolore).
Ma Admeto attende ed ella non a lui
si volge. Parla al dio che la comprende,
e tutti la comprendono nel dio.

Nessuno è a lui compenso. Io solamente.
Io lo sono. Perchè nessuno è la fine
come me. Cosa resta a me di quello
ch'ero qui, cosa resta oltre il morire?
Lei non ti ha detto nel mandarti a noi
che quel giaciglio che di là ci aspetta
è d'oltretomba? Io già presi commiato,
io presi ogni commiato.
Nessun morente più di me, che vengo
perchè tutto, sepolto sotto quello
che è il mio sposo, svanisca, si dissolva.
Prendimi dunque: prendimi per lui.

Come la brezza che si leva al largo,
il dio s'avvicinò, quasi a una morta
e fu lontano subito dall'uomo
a cui in un breve gesto egli donava
tutte le cento vite della terra.
Admeto, vacillante, li rincorse
per aggrapparsi, come in sogno. E loro
erano già dove le donne in pianto
gremivano l'uscita. Ma una volta
ancora egli le vide il viso, indietro
rivolto, in un sorriso chiaro come
una speranza, una promessa: a lui
tornare adulta dalla cupa morte
a lui vivente...

Allora egli le mani
premette sulla fronte, inginocchiato,
per non vedere più che quel sorriso.
Alcesti - Rainer Maria Rilke
(tratta da “Le parole dell'angelo” )

Eroina del mito greco, resa immortale da Euripide, nei secoli, Alcesti è diventata il simbolo della sposa fedele, dell'amore coraggioso. 
Affascinante figura di giovane sposa, sopraffatta dalla passione,  disposta a sacrificare la propria vita per salvare quella del marito, vede spegnere la sua esistenza nel fiore della giovinezza. 
Si offre alla morte senza lacrime né afflizione, non rimpiange il passato, non rimprovera Admeto, il suo sposo, dell’egoistico patto con Apollo.
 

“Solo gli amanti accettano di morire per altri; non solo gli uomini, ma anche le donne. E di questa mia affermazione offre agli Elleni una bella testimonianza la figlia di Pelia, Alcesti, che volle, ella sola, morire per il suo sposo, pur avendo egli padre e madre. E quella tanto li superò nell'affetto, in virtù dell'amore, da farli risultare estranei al loro figlio, e parenti solo di nome. E questo gesto da lei compiuto parve così bello non solo agli uomini, ma anche agli dei, al punto che questi, pur avendo concesso solamente a pochi uomini, fra i molti che compirono molte buone azioni, il dono di lasciar tornare l'anima dall'Ade, tuttavia lasciarono tornare la sua anima, meravigliati dalla sua azione. In questo modo anche gli dei onorarono l'impegno e la servitù al servizio dell'amore.” Platone, Simposio.

In un giorno inaspettato, che in varie versioni coincide con il giorno delle nozze, arriva la morte a reclamare la vita della propria vittima, ma quest’ultima, avvolta dall’elemento fiabesco, ottiene di continuare a vivere, a patto che qualcuno accetti di morire al posto suo.
Non si trova però nessuno disposto al sacrificio, anche gli stessi genitori rifiutano: è soltanto la donna amata, Alcestri, ad offrirsi spontaneamente alla morte.
In quasi tutte le versioni della fiaba, destinata all’esaltazione del legame matrimoniale, la vicenda ha tuttavia un lieto finale: la divinità come premio per la virtù rifiuta il sacrificio e consente alla donna di continuare a vivere a fianco dello sposo.


La storia in breve:

Alcesti, personaggio della mitologia greca, era figlia di Pelia, re di Iolco, e di Anassibia. 
Com'è ovvio per una donna della sua bellezza e posizione, era chiesta in sposa da molti principi e re, ma Pelia, per non alterare i delicati equilibri politici, escogita uno stratagemma per la scelta del prescelto e indice una gara apparentemente impossibile da vincere: Alcesti andrà in sposa all'uomo che sarà capace di gareggiare con un cocchio a cui siano aggiogati un leone ed un cinghiale

E' Admeto, re di Fere, a ottenere Alcesti in sposa, superando la prova grazie all'aiuto di Apollo. Però, una volta compiuta l'impresa, Apollo chiede al giovane di ricambiare, con la sua vita, l'aiuto ricevuto.

Disperato Admeto chiede ai vecchi genitori, agli amici, di sacrificarsi per lui, ma tutti rifiutano. L'unica pronta a sacrificarsi è Alcesti che, per amore del suo sposo, si propone senza titubanze.

A questo punto, le versioni si diversificano. Alcune fonti raccontano che ancora in lutto Admeto ospita Eracle a casa sua e gli racconta la sua storia. Eracle, commosso sia dalla storia, sia dall'ospitalità che gli ha offerto il povero Admeto, decide di scendere negli Inferi, e riporta Alcesti sulla terra

Altre fonti ancora invece vogliono che sia stata Persefone, la dea e signora degli Inferi, a riportare la donna in vita come premio per il suo sacrificio. 

Bianco il corpo deterse con le acque
del fiume, dalle casse di cedro poi
una veste lei prese,
e di sua mano scelse le sue gemme,
bello il suo corpo rese (Alcesti, vv.159-161)

La vicenda, come ho accennato sopra, sopravvive nei secoli, forse proprio per la tragedia, di particolare intensità, di Euripide. Chissà se ci saremmo appassionati alla figura di Alcesti, se Euripide non ne avesse preso spunto per il suo lavoro teatrale.
E' la sua ricostruzione, la sua visione ad avvicinarci alla figura e ad affascinarci.  E' esistita davvero, non è esistita? Anche Platone ne parla nel suo Simposio, ma non sono qui per parlare di questo. E' parte dei miti greci, e come tale ve la presento.
Mi piace, però, sottolineare, perchè è quello che mi attrae di più di questa storia, il pensiero di Euripide che, attraverso la rappresentazione,  ci propone  una meditazione profonda e sempre attuale sul rapporto dell’uomo con la morte; un'esaltazione di chi è capace di offrire la propria vita per il bene altrui e una riflessione lucida sul ruolo e l’importanza della donna nella civiltà greca.
E a questo punto lascio a voi le riflessioni.